I neuroni di alcuni mammiferi possono vivere più a lungo dell’organismo che li ha generati, il limite della loro esistenza non sarebbe, dunque, scritto nei geni. In pratica il cervello può sopravvivere al corpo. E’ la conclusione raggiunta – dopo un esperimento che ha richiesto oltre cinque anni di lavoro – da Lorenzo Magrassi, professore di Neurochirurga dell’Università di Pavia che lavora presso la Fondazione Policlinico S. Matteo e l’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Pavia, insieme al professor Ferdinando Rossi e Ketty Leto, neurofisiologi del NICO – Istituto di Neuroscienze della Fondazione Cavalieri Ottolenghi presso l’Università di Torino.
Lo studio è pubblicato su Pnas, la rivista dell’Accademia delle Scienze Usa. Nei mammiferi i neuroni vivono per l’intera esistenza dell’individuo, in assenza di malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson, Sclerosi, Huntington. Non è ancora chiara alla scienza, però, la durata dei singoli neuroni e se il limite della loro vita sia geneticamente determinato, legato cioè alla sopravvivenza degli individui tipica di ogni specie, ad esempio 20 anni per un gatto, 120 per l’elefante. In questo caso gli sforzi per prolungare la vita media dell’uomo sarebbero resi inutili dall’inevitabile invecchiamento del cervello. Ora lo studio dei ricercatori italiani offre una prima risposta alla questione. L’esperimento ha previsto il trapianto di neuroni in fase embrionale prelevati dal cervello di un embrione di topo – con vita media di circa un anno e mezzo – in quello di un ratto, una specie con vita media più lunga, circa tre anni (il doppio rispetto al donatore). Le cellule trapiantate si sono sviluppate in neuroni cerebrali, integrandosi nel cervello del ratto pur mantenendo le dimensioni lievemente più piccole tipiche topo donatore. Inoltre, i neuroni di topo non sono morti circa un anno e mezzo dopo il trapianto – come sarebbe successo se fossero rimasti nel topo, essendo questa la durata media della vita dei topi utilizzati – ma sono sopravvissuti tre anni, fino alla morte naturale del ratto in cui sono stati trapiantati.
I risultati suggeriscono quindi che la sopravvivenza dei neuroni trapiantati non è geneticamente fissata, ma può essere determinata dal microambiente del cervello dell’organismo ospite. Considerando le differenze di specie, i risultati dell’esperimento suggeriscono che – ammessa una vita media di ottant’anni – fino a centosessant’anni non ci sarebbero problemi di sopravvivenza dei neuroni. Questa scoperta contraddice dunque l’opinione diffusa che aumentare la vita media degli individui può essere inutile in quanto i neuroni – anche in assenza di patologia – morirebbero, riducendo chi sopravvive oltre una certa età ad una vita priva di facoltà cognitive. Il lavoro di Magrassi, Leto e Rossi dimostra invece che l’ambiente in cui i neuroni vengono a trovarsi modula la loro sopravvivenza che, almeno entro i limiti studiati, non è determinata geneticamente. I risultati indicano che i fattori presenti nel microambiente in cui le cellule sono state trapiantate contribuiscano a mantenere in vita i neuroni, indipendentemente dall’età raggiunta. Identificare questi fattori mediante nuovi esperimenti aprirebbe la strada per nuove terapie, anche nel caso di malattie neurodegenerative che conseguono alla morte precoce dei neuroni in aree specifiche del cervello.