Gli italiani da un lato hanno dato un ceffone al potere costituito, votando in massa, nella misura più alta prevedibile, il Movimento 5 Stelle. Un voto di protesta ma anche un segno di vitalità:  per molti non era più sopportabile il sistema di governo, il modo di pensare, la prassi quotidiana con la quale i partiti hanno sviluppato comportamenti fuori dalle regole e distanti dai bisogni dei cittadini, da quel che si chiama bene comune.

Dall’altra parte una fetta cospicua di concittadini hanno confermato i propri favori verso il capostipite del malgoverno, il simbolo elevato al cubo di un sistema corrotto, esausto, e in qualche modo già defunto. Hanno resuscitato Berlusconi e basteranno pochi giorni per capire cosa questo significhi. Mettiamo in preventivo un governo di grande coalizione. Questa eventualità è una nuova, grande sciagura. Quando gli opposti governano insieme gli interessi non si elidono ma raddoppiano. Sarà un governo immobile e non avrà una parola per quella parte di società (che io ritengo maggioritaria) che invece cerca un cambiamento profondo, radicale.

Il voto ci consegna un frittatone, un mix di bisogni e debolezze, di coraggio e paura. Di dignità e codardia.

Ci sono due Italie (purtroppo). Ma la peggiore – chissà perché – vince sempre

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