“Il viaggiatore sceso alla stazione Termini, nell’uscire dal “Dinosauro”, la popolare pensilina della stazione, sulla piazza dei Cinquecento, si imbatte subito nel più grandioso resto superstite delle mura repubblicane. L’antichissima costruzione … posta di traverso rispetto all’edificio moderno, fornisce una prima, rapida, sintesi, … della storia della città, in quello che essa ha di più caratteristico: la continuità ininterrotta per più di ventisette secoli”. Con queste parole Filippo Coarelli iniziava la descrizione delle mura serviane in uno dei capitoletti della Guida archeologica di Roma, edita da Mondadori. Era il 1974, la stazione si presentava così come era stata inaugurata nel dicembre 1950. Un mix tra il progetto di Angiolo Mazzoni dei corpi laterali e quello di Montuori, Carlini e Vitellozzi, Castellazzi, Fadigati e Pintonello della testata. La città non investita dal collasso architettonico avviato con gli anni Ottanta. Con gli automezzi che transitavano ancora intorno al Colosseo, l’Ara Pacis ancora ricoperta dalla teca di Morpurgo, il quartiere Iacp Corviale agli inizi. L’Archeologia, una scienza dell’antichità. Senza quasi alcun coinvolgimento nelle attività del presente. Insomma, per l’archeologia preventiva, si sarebbe dovuto ancora attendere.

Poi con il Giubileo del 2000, l’intervento di riqualificazione della stazione. Tanti interventi sulla Città. Forse non tutti necessari ad accrescerne le potenzialità. Indagini di scavo in luoghi di particolare interesse. A partire da quelli nelle aree dei fori di Nerva e di Traiano.

Un “Prima” e un “Dopo” non soltanto temporale. Nella gran parte dei casi anche un sostanziale cambiamento di status. Che sfortunatamente non ha interessato quel lungo tratto di mura all’uscita della stazione. Il tratto più imponente, tra quelli conservati, di tutta la cinta che, nel IV secolo a. C., proteggeva la città. Protraendosi per circa 11 kilometri, includendo una superficie di circa 426 ettari. Il tratto a sinistra della facciata della Stazione lungo circa 94 metri, alto 10 e spesso 4. Un esempio di una delle tecniche di costruzione più antiche, oltre che realizzative. Costruito in blocchi di tufo, su molti dei quali sono ancora visibili i segni di cava. Nonostante la naturale rovina sul lato esterno, “più regolare”, sul piazzale della stazione, si possono riconoscere due contrafforti rettangolari. Più irregolare il lato esterno a causa del fatto che qui si addossava il terrapieno che ne costituiva la maggior peculiarità. La sistemazione adottata proprio in occasione dei lavori alla Stazione nel 2000 ha senza dubbio consentito di strappare al lungo degrado la struttura. Di affrancarla dall’abbandono. Anche se la musealizzazione che l’ha interessata non contribuisce certo a valorizzarla al meglio. La cancellata che la perimetra, un recinto che ha l’indubbio merito di salvaguardarla, sostanzialmente contribuisce ad isolarla. Se poi sul lato che prospetta sul piazzale della Stazione la chiusura si trova a distanza congrua ma tale da non impedirne una buona visione, così non avviene sul lato opposto, su via Marsala. Dove la cancellata per seguire il fronte esterno della stazione, si trova a non meno di una cinquantina di metri. Impedendo di fatto che si possa osservare la struttura. Le sue particolarità costruttive. Ad accrescere il rammarico per questa sistemazione è un’ulteriore criticità. Il nuovo degrado. Il basso muro sul quale poggia la cancellata che chiude le mura sul fronte del piazzale della stazione è da anni, per quasi l’intera giornata, luogo di bivacco per tanti senza tetto. Al punto che il marciapiede di fronte è assai poco frequentato. Volutamente bypassato da chiunque transiti per la zona. Anche peggio quel che avviene sul lato opposto. Utilizzato da alcuni esercizi commerciali con sede all’interno della Stazione per lo scarico-carico delle merci e per il posteggio delle auto dei dipendenti. Oltre che come sede di almeno sei cassonetti per la spazzatura.

Non va meglio ai resti conservati all’interno della Stazione, nel piano intermedio tra quello dei binari dei treni e quello delle metropolitane. Quattro tratti di breve lunghezza e di non considerevole altezza. Sistemati tra la scala mobile che sale ai binari e quella che scende alla metro. Musealizzati in maniera abbastanza rudimentale. Che non ha impedito e non impedisce ad estemporanei cultori dell’epigrafia di incidere sui blocchi delle mura e al di sotto sulla cortina laterizia di restauro, i loro nomi. Diversa per certi versi la sorte dei quattro tratti. Da un lato uno, il più breve, di tanto in tanto ancora occasionale vespasiano per qualche barbone. Dall’altro, i rimanenti tre che sono all’interno dello spazio di Mc Donald. Tra i tavoli.  

Indicazioni poche. Quasi inesistenti. Nulla lungo il tratto all’esterno. Pannelli in plexiglas in alcuni dei tratti all’interno della Stazione. Anche se sistemati in posizione assolutamente inappropriata. Per la lettura oltre che per la fruizione del monumento.

E’ così che migliaia di viaggiatori, italiani e stranieri, transitano quasi ignari ogni giorno per la Stazione vicino quei resti. In moltissimi casi senza sapere di cosa si tratti. Impediti nella conoscenza di una delle tipologie più antiche.

Il nuovo restyling che interesserà la stazione Termini, presentato nei primi giorni di febbraio dall’ad di “Grandi Stazioni”, sembra prospettarsi come l’ennesima occasione. Il progetto, con un investimento di 83 milioni di euro, prevede un posteggio di 1.300 posti e una galleria da 6mila metri quadrati che ospiterà, oltre a una grande area di attesa da 600 posti, fast food, ristoranti, negozi e quattro nuovi ascensori panoramici che collegheranno i tre livelli della stazione, la nuova chance. Sperare che la ristrutturazione possa prevedere anche una valorizzazione dei resti antichi non dovrebbe essere fuori luogo. L’idea che l’implementazione dei servizi offerti dalla Stazione non sia disgiunta da una più efficace musealizzazione delle mura serviane imprescindibile per tentare di scrivere una nuova storia della Città. Nella quale i monumenti non siano solo mute e ingombranti presenze. Utili tutt’al più come vespasiani.

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