Pronti? Via! A Palazzo Madama c’è già un senatore accusato di concorso esterno a Cosa Nostra. No, non è Marcello Dell’Utri, tagliato fuori dai sondaggi pre voto (quelli di B sicuramente più giusti di tutti gli altri)  e oggi in altre faccende affaccendato, ma riscopertosi uomo di Stato che predica gongolante un governissimo d’unità nazionale per il bene del Paese (sic!).

Il senatore in questione si chiama Antonio D’Alì, viene da Trapani, e in Senato ci sta dal lontano 1994. Dall’ottobre scorso è imputato con il rito abbreviato per concorso esterno in associazione mafiosa. I siciliani lo sapevano, perché lo hanno scritto, lo abbiamo scritto, lo hanno gridato. Ma hanno votato in massa Pdl al Senato, rieleggendo D’Alì a furor di popolo, e tagliando fuori gente come Antonio Ingroia o Franco La Torre. Dai tempi di Totò Cuffaro vs Rita Borsellino, una buona parte di siciliani ha sempre avuto le idee chiare sull’uomo giusto da scegliere tra Gesù e Barabba.

D’altra parte B era pienamente cosciente delle debolezze sicule in fatto di elezioni e aveva addirittura violato il silenzio elettorale per dire come la magistratura fosse peggiore della mafia siciliana. Non della camorra o della ‘ndrangheta: no, putacaso, ha scelto la mafia siciliana. O è una coincidenza o il messaggio deve evidentemente essere stato recepito. Speculare il giudizio degli elettori calabresi, che affascinati dalle mirabolanti performance di Scilipoti (si, Scilipoti) lo rimandano in parlamento a rappresentare il Paese. E che dire degli abruzzesi, in parte ancora abbandonati in tenda dall’ultimo governo, ma oggi felici di dare fiducia a tale Antonio Razzi, premiando l’onestà di un parlamentare che ammetteva candidamente: “noi qui ci facciamo i cazzi nostri”. Chapeau.

Anzi no, niente applausi. Solo macerie. È una parola che qualche volta ha fatto capolino in questa folle campagna elettorale. L’ha utilizzata Bersani, per sottolineare come Grillo volesse “vincere sulle macerie, che possono convenire ai ricchi ma non certo ai poveracci”. Ecco, Grillo non avrà vinto le elezioni, ma rimane forse l’unico vincitore di questo deprimente turno elettorale. Nove mesi fa, alle amministrative palermitane il Movimento Cinque Stelle raccolse 10 mila e 500 voti, rimanendo fuori dal consiglio comunale. Oggi a Palermo ne raccoglie più di 105 mila, guadagnando di fatto più di 11 mila voti al mese. Un aumento esponenziale. In Sicilia i grillini sono di gran lunga il primo partito. Ma incrociando i dati di Montecitorio e Palazzo Madama, fa impressione notare come almeno una fetta di elettorato (dal 3 al 6 per cento) abbia votato Grillo alla camera e B al senato. Come dire: protesta si, ma con moderazione.  E soprattutto senza clamore, dato che in Sicilia – come nel resto d’Italia – i comizi del Pdl erano tutt’altro che affollati. Oggi camminando per strada in Sicilia, si ha la certezza che più di un elettore su tre ha votato B. Di nuovo. E se ancora oggi più di un elettore su tre vota ancora B (in silenzio, senza clamore, quasi con una vergogna inconscia e imbrogliando evidentemente nei sondaggi) la causa è proprio di quelle macerie, che per Bersani non erano ancora arrivate, e invece sono già nella geografia clinica di questo Paese. Macerie culturali, prima di tutto, e sociali in seconda battuta.

Il professor Tullio De Mauro, a proposito delle ultime elezioni, ha fatto cenno all’analfabetismo di ritorno. In Italia giovani e adulti, nonostante  abbiano frequentato tutte le scuole dell’obbligo, non hanno più le competenze basilari della lingua scritta. Non leggono giornali (e se lo fanno si fermano a titoli e immagini), sono tecnicamente teledipendenti, e naturalmente portati a credere che presto riavranno 800-1000 euro di Imu. Poco importa se in cambio cedono pezzi del loro futuro allo stesso venditore di fumo dell’ultimo ventennio. Perché l’analfabetismo di ritorno in Italia ha avuto un’impennata clamorosa nell’ultimo quarto di secolo. Questo Paese – nonostante la mia generazione possa anche non crederci – era il Paese del talento, dello stile, del gusto. Era il Paese dell’Olivetti Lettera 22, della Vespa, della lampada di Fontana, di Giò Ponti, di Pier Paolo Pasolini, di Leonardo Sciascia, di Renato Guttuso, di Fellini, di Berlinguer e Spadolini. Oggi è un Paese che rimanda in parlamento Razzi e Scilipoti, dopo averli ampiamente conosciuti, deridendone le gesta. È un Paese da reality show, in cui chiunque insegue il quarto d’ora di celebrità, anche cinque minuti, a qualsiasi prezzo, con o senza talento e merito. Preferibilmente senza. È un Paese in cui 4.720 siciliani votano Lega Nord alla Camera. Ma forse lì l’analfabetismo di ritorno c’entra poco.  

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