Da Ingroia a Fli, da Sel a Monti, la non appartenenza ai tre grandi schieramenti che hanno "vinto" le elezioni non paga nemmeno quando le candidature provengono dal territorio. Su tutti il chiacchierato ex consigliere 5 Stelle: "Mi dimetterò dalla Regione a breve"
Non ce l’hanno fatta, ma pensavano di essere già dentro al Parlamento. Sono gli esclusi eccellenti che non sono riusciti ad ottenere quei seggi che fino a 48 ore fa sembravano sicuri in quelle che, comunque, potrebbero essere una Camera e un Senato a scadenza ravvicinata.
Il primo e più clamoroso flop è quello di Giovanni Favia, già consigliere comunale a Bologna, poi regionale tra gli scranni di via Aldo Moro, candidato numero uno alla Camera nella circoscrizione Emilia Romagna per Rivoluzione Civile. Ex enfant prodige del Movimento 5 Stelle, nel settembre scorso in improvviso disaccordo con Grillo e con il deus ex machina Casaleggio attraverso un galeotto fuorionda a Piazza Pulita, Favia ha iniziato una querelle con i due “superiori” durata due-tre mesi, fino a quando non è stata decretata la sua espulsione. Consumato il divorzio ecco il coup de theatre: Ingroia lo corteggia e lui, dopo un frenetico tentennamento nella scelta, torna in campo con gli arancioni sollevando polemiche sia tra gli ex compagni di partito che gli danno del traditore e i nuovi amici di viaggio di Cambiare si può che non tollerano la candidatura calata dall’alto.
Il risultato esiguo di Rc a Bologna, città natale di Favia (2,6%, 5931 voti, un settimo delle preferenze dei 5 Stelle), spiega il fallimento dell’operazione drenaggio che Ingroia si era prefissato sul territorio in cui Grillo si era affermato scatenando le ire del Pd. Ora Favia, che ha compiuto 32 anni pochi giorni fa, tornerà a lavorare nel campo degli audiovisivi dove si era affermato come direttore della fotografia di documentari come l’ottimo Raunch Girl.
Travolto dal tracollo di Futuro e Libertà è il suo capolista alla Camera, Enzo Raisi. Fli raccoglie solo in provincia di Bologna (Raisi è nato a San Lazzaro di Savena, alle porte della città, n.d.r.) un lillipuziano 0,2%. L’indissolubile luogotenente di Gianfranco Fini, tra gli anni ottanta e novanta, era stato cinque volte consigliere comunale a Bologna, prima nel Movimento Sociale (due volte) e altre tre con Alleanza Nazionale facendo da stagionato supporter del boom di Guazzaloca sindaco. Si è poi candidato a presidente della Provincia di Bologna nel 2009 con il Pdl, perdendo, poi nel 2010 il voltafaccia e l’abbandono di Berlusconi a seguito del dito puntato di Fini.
Da lì, per il sanlazzarese, sono stati solo dolori. A nulla sono valse le sue proposte di legge come quella di rendere meno complicata la possibilità di acquistare armi in Italia, o la sua naturale predisposizione per atti pubblici di machismo come quando è stato aggredito da un toro durante la corsa di Pamplona. La fiamma non arde più e non è rimasto nemmeno un fioco lumicino. La sua carriera politica dopo 30 anni finisce qui. I manifesti elettorali dicevano: Raisi c’è. Ma per lui ora ci sarà solo la famiglia e il posto da titolare dell’azienda italo-iberica del gruppo Joen, ditta che vende utensili elettrici.
Altro nome grosso a pagar dazio per l’ennesimo “tradimento” è Giuliano Cazzola. Il bolognesissimo, 72 enne, esperto di tematiche del lavoro, si era candidato con la lista Monti al Senato. Infausto quel terzo posto in lista offertogli dal professore come segno di riconoscimento alla fiducia votata alla Camera a fine 2012, voltando le spalle al Pdl e a Berlusconi. Segno tangibile di quanto i montiani e lo stesso Cazzola sognassero percentuali più alte per la lista dell’ex premier. Uomo di spirito e amante della buona cucina, Cazzola era persino diventato relatore del discusso disegno di legge in materia del lavoro nel quarto governo Berlusconi, tirandosi addosso le feroci contumelie dei suoi ex colleghi sindacalisti della Cgil dove aveva militato per un ventennio. Ora Cazzola torna a fare il professore, a chiamata, e l’editorialista su importanti testate come il Sole 24 ore.
Altro importante big che ha atteso una conferma per un posto da senatore è stato l’assessore alla cultura della Regione Emilia Romagna, Massimo Mezzetti. Capolista di Sinistra Ecologia e Libertà, ha visto sciogliersi davanti al naso un patrimonio di consensi che pareva perlomeno stabile e sufficiente per il seggio agognato. Tra tutti gli esclusi, Mezzetti, è quello che comunque ha lottato di più tanto che alla fine il 2,7% raccolto da Sel al Senato, circa 62mila voti, è il doppio dei voti avuti alle regionali del 2010 (37mila). Anche Mezzetti, un classe ’62 che porta bene i suoi cinquant’anni, valdese, un attivo passato nella Fgci, tornerà a fare l’assessore regionale, insieme a quell’Errani che solo tre giorni fa parlava già da ministro, quindi da ex presidente della regione e gran mogul del nuovo, impossibile, governo Pd.
di Davide Turrini e Giulia Zaccariello