Il calvario ha molti interpreti, ma la medesima faccia: un fermo immagine tragicomico, da “vorrei ma non posso”. Enrico Mentana gestisce il salotto post-elettorale. Non crede – e fa bene – agli instant poll, ma li legge agli ospiti piluccando dalla concorrenza Rai-Set/Sky. Gad Lerner gongola: vince il centrosinistra, vince Umberto Ambrosoli, Grillo non sfonda il 20 e soprattutto Berlusconi è sconfitto. Wow.

Gad non è il solo a gioire anzitempo. Massimo Franco garantisce che la sola certezza è Bersani premier. La sua forza? Il basso profilo, il non mettere il proprio nome nel simbolo: l’avere rifuggito il presenzialismo (a differenza di Berlusconi e Grillo, che infatti di lì a poco risulteranno i vincitori reali). Su RaiUno è nervoso il gigante Guido Crosetto, che ha appena retwittato un commento vagamente tremendo su Beppe Grillo (“#Grillo al seggio porta via la matita. Poi si giustifica: Era per mia figlia Luna, (la) voleva per far(SI) una riga!!!”). È triste anche Giorgia Meloni, sin troppo struccata, che si esercita in un balbettante mirror climbing. Nulla, però, al confronto di Mario Sechi (candidato con Monti). Gli fanno capire che non li ha votati nessuno, a parte Buffon e la Bellucci, ma lui ripete di aspettare i risultati veri. Deriso e disgregato come il fratello figlio unico della canzone di Rino Gaetano, Sechi vivrà una lunga apocalisse tutta sua. Tenerissimo.

Nel quartier generale del Pd c’è l’entusiasmo delle grandi occasioni: la gioiosa macchina da guerra ha davvero smacchiato il giaguaro. Roberto Saviano, attorno alle 16, scrive su Twitter parole che si riveleranno la versione sinistrorsa dell’Emilio Fede con le bandierine al Tg4: “Per ora prevale la certezza: Berlusconi è stato sconfitto. E voglio godermela per un po’”. Il problema della sinistra riformista italiana, intesa come nomenklatura ma pure come intellighenzia, è che continua a credere che la realtà sia quella sognata da Repubblica.

Arrivano proiezioni e schede scrutinate: è martirio, è pianto, è sangue. In breve cambia tutto. Il Pd è riuscito a fare persino peggio di 1996 e 2006. Travolti da un destino cinico e baro, il primo alibi si rivela quello più stantio: “Berlusconi ha vinto per colpa di Grillo”. Ovvero il sempiterno “Teorema Bresso”.

Pierluigi Battista, su RaiTre, parla a lungo (rendendo felici gli insonni). Aldo Cazzullo, su La7, esibisce una couperose generosa (“Ha uno sfogo tipo Pimpa, sarà la tensione”, scrive sadicamente Lia Celi). Gianni Riotta, su Sky, parla bene dell’uso di Beppe Grillo su Twitter mentre consiglia a Monti di usare meglio i social network (parole forti). Giuliano Ferrara, a RaiTre, se la ride. Infastidito dai numeri di Grillo, cincischia che “in fondo è solo la terza forza”. Poi sostiene che chi ha dato il voto al M5S “non ha una forte autonomia intellettuale” (lo asserisce uno che pensa per interposta persona da almeno vent’anni). Come uscire dallo stallo di Camera e Senato? Ancora Ferrara: “Bersani e Berlusconi insieme”. E non è una battuta.

Flavio Tosi auspica un governo breve che faccia la legge elettorale, per poi tornare al voto. Maurizio Gasparri rifiuta l’ipotesi di tornare al voto a breve. Matteo Orfini è distrutto, Stefano Fassina inconsolabile. Il successo restituisce l’arroganza dei bei tempi a Fabrizio Cicchitto e Ignazio La Russa. Il secondo infierisce su Enrico Letta (“Ve la state facendo addosso, sei messo molto male, non vi auguro l’itterizia ma vi vedo gialli come nel ’94). Il primo sfancula direttamente La7: “Ci davate per brutti, sporchi e cattivi, dicevate che eravamo finiti e puzzavamo”. Si rivede pure Daniele Capezzone, che continua ad avere non a caso un cognome doppiamente fallico. Tacciono al bunker di Rivoluzione Civile, versione 2.0 della Sinistra Arcobaleno. Grillo commenta il postvoto in streaming con Piero Ricca, Dario Fo e Marco Travaglio. La Rete, all’unisono, si chiede chi abbia vinto. Risposta non complicata: Beppe Grillo. E Silvio Berlusconi. E Matteo Renzi. Nel frattempo, e probabilmente, a perdere è stata l’Italia. Un’altra volta.

Il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2013

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