Sbaglia Vittorio Messori quando scrive sul Corriere della Sera: “che può comprendere di questa prospettiva eterna e illuminata colui che non ne partecipa e magari si fa vanto di questa estraneità?”. Non per questo però è condivisibile il tono dell’articolo di Concita De Gregorio sulla relazione cardinalizia con le sue semplificazioni sui due comandamenti violati e le indiscrezioni senza riscontro sulle reali motivazioni delle dimissioni di Benedetto XVI.
Tra la prospettiva “esterna” e scandalistica della Repubblica laica e il monito tutto interno e curiale del Corriere ci deve essere una via di mezzo, un sentiero stretto che passa lontano da chi spaccia per notizie le indiscrezioni sui preti gay e ladroni ma anche da chi predica il bando dei cronisti laici fino alla fine del Conclave.
Non è quindi da una prospettiva religiosa – come scrive Messori – che va rigettato l’approccio dell’inchiesta di Repubblica sulle ragioni delle dimissioni del Papa bensì da un punto di vista professionale.
Allo stesso modo però, sempre in una logica puramente giornalistica, è una bestemmia deontologica la conclusione dell’articolo di Messori, che vorrebbe lasciare solo ai cattolici la possibilità di penetrare e descrivere il mistero dell’abbandono di Benedetto XVI e il racconto della successione.
La massima di Tommaso D’Aquino citata da Messori “Ogni ente va compreso e interpretato secondo enti della stessa natura” può andar bene per chi si approccia alla conoscenza del divino da posizioni religiose ma è la negazione del nostro mestiere che può e deve descrivere un fenomeno religioso ma anche umano, (quale è la Chiesa, il suo Pontefice, il Conclave, l’abdicazione e le sue ragioni) usando categorie non religiose ma rigorosamente laiche.
Non è vero che solo i cattolici hanno i numeri per raccontare bene quello che sta succedendo dentro le mura Leonine. Il punto è un altro: la serietà dell’approccio a una realtà lontana dal narratore. L’umiltà dal giornalista che affronta un Conclave da una prospettiva laica, deve essere maggiore e non minore di quella di un giornalista cattolico.
Se il giornale che sostiene il Pd, La Repubblica, descrivesse il congresso del Pd dopo il misterioso abbandono della segreteria da parte di Pierluigi Bersani, avrebbe mille cautele in più di quelle adottate nei confronti di Benedetto XVI. Ezio Mauro non pubblicherebbe mai un articolo su Bersani basato su voci anonime che accusano il Pd di essere una nave alla deriva in preda a una lobby di gay ricattatori e ladroni. L’estraneità alla Chiesa può e deve essere un vantaggio competitivo per un giornale laico ma non deve diventare un vizio di prospettiva o peggio l’alibi per una drastica riduzione degli standard deontologici o addirittura il salvacondotto per balle, imprecisioni e maldicenze anonime. La prospettiva laica di Nanni Moretti è riuscita a rendere alcuni aspetti dell’alba del terzo millennio per la Chiesa, con toni più simili a quelli del tramonto, meglio di mille articoli di Dino Boffo. Ma si sentiva in quel lavoro un fondo ironico di rispetto verso la Chiesa da parte di un ex appartenente a un’altra chiesa.
Quando si approccia la successione di un Papa, quando si entra nel mistero della rinuncia di un uomo che entrerà nella storia non solo per il suo gesto ma anche per la forza del suo pensiero bisogna avere rispetto. Perché in questo caso il rispetto non è forma ma sostanza. E la prima forma di rispetto è lo studio. Prima di rivelare nuove verità scandalistiche bisognerebbe almeno avere l’umiltà di comprendere quanto è stato già raccontato e analizzato da altri, possibilmente senza spacciarlo per nuovo rimasticandolo. E poi, come ha scritto Vittorio Messori, non si possono usare le categorie più comode della politica per raccontare un mondo che si auto-considera (e magari è e noi non lo sappiamo riconoscere) come intriso di divino. Non si può trattare il Transatlantico come la Cappella Sistina, la destra del Parlamento come le correnti conservatrici dei cardinali. Soprattutto non è giusto – oltre che irrispettoso – trattare le ragioni del gesto di Papa Ratzinger come se si avesse a che fare con i ricatti al Governatore della Campania. Non solo per rispetto al Papa ma soprattutto per rispetto della verità, dei lettori e del sentimento di un miliardo di persone che vedono in quell’uomo con la papalina la voce di Dio in terra.
Anche se si scrive da una prospettiva opposta, quella più laica e anticlericale possibile, non bisogna mai dimenticare che si parla di chi – e a chi – sente l’oggetto del racconto in un modo completamente diverso. Questa regola aiuta anche a parlare con chi non fa parte della propria area culturale. Il giornale settario è un cattivo giornale non solo per ragioni etiche ma anche deontologiche e persino commerciali. Quando si incrocia una realtà religiosa poi ci vuole un doppio sforzo di comprensione e disponibilità a mettersi nella prospettiva dell’altro per capire veramente le sue logiche e raccontarle. Solo così si coglierà il doppio obiettivo di non offendere chi crede e di raccontare a chi non crede un mondo lontano.
La Repubblica è il primo quotidiano italiano. Un faro culturale per i laici e di riflesso, un punto di riferimento, per i cattolici. Ci sono ciellini e vescovi che magari comprano il quotidiano di Ezio Mauro alla domenica per leggere l’articolo di Eugenio Scalfari, considerato da loro una sorta di Papa laico. Anche il Papa di Repubblica tanti anni fa lasciò il posto al direttore attuale. Immaginate se l’Avvenire avesse pubblicato nel 1996 un articolo che sosteneva di conoscere le vere ragioni della staffetta, riferendosi ad abitudini sessuali e a ladronerie varie. Salvo citare a riscontro solo una lettera, già pubblicata da altri quotidiani, sbagliando l’autore e il contenuto. Cosa avrebbe detto allora Ezio Mauro?