Per molti è un gradito ritorno all’immunità, per altri una felice prima volta. Ma è ancora molto nutrita la pattuglia degli impresentabili a causa di procedimenti penali in corso, oppure degli improponibili per la loro storia politica fatta di giravolte e cambi di casacca. E non si può nemmeno dire che li abbiano scelti gli elettori, visto che le nomine sono state in gran parte decise a tavolino dai leader dei partiti. Stavolta la loro “casa” è soprattutto al Senato, ma anche alla Camera la compagnia è gaudente e numerosa. A partire da due ospiti di spicco: Raffaele Fitto e Saverio Romano. Entrambi militanti di lungo corso pidiellino, sono stati rieletti nelle rispettive regioni nonostante una fedina penale lucidata di fresco.

Come quella di Fitto, che proprio in campagna elettorale è stato riconosciuto colpevole in primo grado di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio. Ad incastrare il parlamentare la presunta tangente da 500mila euro che l’ex ministro Pdl avrebbe ricevuto dall’editore e imprenditore romano Giampaolo Angelucci. Per il fedelissimo di Totò Cuffaro, invece, era arrivata l’assoluzione per concorso esterno in associazione mafiosa che subito si è riaperta un’altra voragine, stavolta per presunta corruzione: avrebbe ricevuto 50mila euro da Gianni Lapis, storico tributarista di Vito Ciancimino, per inserire in finanziaria una norma a favore della Gas spa, l’azienda energetica che avrebbe fatto capo all’ex sindaco mafioso di Palermo e a Bernardo Provenzano.

E siamo solo all’inizio. Mentre si saluta chi c’è sempre stato come Lorenzo Cesa e qualcuno avverte che presto potrebbe rientrare nelle fila Pdl alla Camera anche Amedeo Laboccetta, non eletto per un soffio, ecco che si ritrova Luigi Cesaro, “Giggino a’ purpetta”, ex presidente pidiellino della provincia campana e indagato dalla Dda per associazione camorristica, ma anche Antonio Angelucci (indagato per associazione a delinquere, truffa e falso) ed Elvira Savino, che in Puglia deve rispondere di concorso in riciclaggio.

Ci sono anche delle new entry di prestigio. Come quella di Paolo Alli, vice di Formigoni, inquadrato come “intermediario” dalla magistratura di Milano; avrebbe ricevuto 250mila euro che sarebbero stati consegnati all’uomo di fiducia del Celeste, Mazarino De Petro, già coinvolto nell’inchiesta Oil for Food. E, infine, Nino Minardo, dalla Sicilia sempre con furore, dopo che la sua condanna ad un anno per abuso d’ufficio è stata ridotta ad 8 mesi. C’è di che festeggiare.

Ma è il Senato, si diceva, la vera “casa” dei nuovi (o antichi) impresentabili. C’è Alfredo Messina, Pdl, accusato di favoreggiamento in bancarotta, Paolo Romani, indagato per peculato e istigazione alla corruzione, Ignazio Abrignani, indagato per dissipazione post fallimentare e Salvatore Sciascia, sempre Pdl, condannato a due anni e sei mesi per corruzione. Poi, loro, uomini del calibro di Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, entrambi rieletti (Calabria e Abruzzo) per ordine del Cavaliere, così come – per lo stesso motivo – Elena Centemero in Lombardia (è stata insegnante dei figli di B) e Augusto Minzolini in Liguria. E ancora l’ex ministro Nitto Palma con Riccardo Villari in Campania. Quest’ultimo, di cui si ricorderanno le gesta come uomo Pd che non voleva dimettersi da presidente della Vigilanza Rai, oggi veste la maglia di Arcore.

“Come si cambia per non morire”, cantava Fiorella Mannoia e i versi si addicono anche a Franco Carraro, detto “il poltronissimo”, eletto in Emilia nelle file montiane, ma soprattutto a Bernabò Bocca, genero di Geronzi e presidente Federalberghi. Ma il meglio, di direbbe, lo si tiene per ultimo. Intanto, arriva dal Pd alla Camera Rosaria Capacchione, coraggiosa cronista anticamorra del Mattino e per questo costretta a vivere sotto scorta, ma indagata per una presunta calunnia ai danni di militari della Guardia di finanza. E poi Francantonio Genovese, sotto inchiesta per abuso d’ufficio, mentre al Senato il Pd schiera Bruno Astorre, anche lui un guaio per abuso d’ufficio. Reati che, comunque, sbiadiscono davanti a quelli sfoggiati dal “Celeste” Roberto Formigoni o da Antonio D’Ali, sempre Pdl, un rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. E, soprattutto, da Denis Verdini.

Ma non ci sono solo note dolenti, qualche cosa di positivo in questo Parlamento ingovernabile ci sarà. La prossima legislatura sarà più in rosa, almeno secondo gli standard italiani. A fronte di un 21% di donne nell’assemblea uscente, ce ne saranno il 30% in più. La nuova Camera, per fare un esempio, avrà una percentuale di donne sopra il 32%, al Senato saranno il 30%. La carica in rosa è trainata dal Movimento 5 stelle e dal centrosinistra; il più alto numero di donne, in verità, si trova nelle liste del Pd, con il 41%, che precede Movimento Cinque stelle al 38%, Pdl e Lista Monti-Udc entrambi al 22%, Sel al 20%, Lega Nord al 14% e Pdl, con il 25,8%. Anche sul fronte generazionale, la nuova Camera sarà più giovane della precedente, che aveva un’età media all’ingresso di poco superiore ai 55 anni.

Il nuovo Parlamento, sempre grazie ai grillini, avrà un’età media di 48 anni. Ed è una donna anche la più giovane candidata al Parlamento: Marta Grande 25 anni, una grillina che qualcuno vorrebbe già presidente della Camera, mentre il candidato più anziano, Sergio Zavoli (89 anni) è stato eletto nelle liste del Pd al Senato in Campania.

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