Manteniamo la calma e vediamo se esiste qualche teoria della motivazione umana che possa aiutarci a spiegare un risultato apparentemente irrazionale come quello che ci hanno consegnato le urne lunedì sera. Ciò che giudico irrazionale non è la montata protestataria del grillismo, che è un movimento nuovo e per il momento – sembra – benintenzionato. Ciò che sembra veramente irrazionale è quel 30% di italiani che hanno rivotato Berlusconi e un partito che ha messo in lista pregiudicati, condannati, incapaci travolti in tutti i tipi di scandali, un partito di governo che ha provocato l’ascesa di Monti, ha appoggiato il governo tecnico, ha votato nuove tasse per poi presentarsi alle elezioni dicendo il contrario, e assumendo il ruolo di nuovo salvatore della patria.
Quale teoria politica o sociale può spiegare la credenza del 30% di italiani che qualche forma di salvezza potesse venire da poteri simili? Secondo la teoria politica, si vota per molte ragioni: per difendere i propri interessi, per difendere gli interessi collettivi, per esprimere dei valori, per esprimere un’identità, e poi sappiamo che tutto questo è molto complicato perché il risultato collettivo non è solo la somma delle scelte individuali, ma qualcosa di più che dipende da com’è stata concepita la procedura di voto. Dunque, gli effetti apparentemente irrazionali di quest’assurdo risultato potrebbero essere imputati, com’è già stato fatto, a quest’ultima causa, ossia l’assurda legge elettorale italiana. Oppure alla generale irrazionalità della psicologia umana, le reazioni emotive del popolo bue che si lascia trascinare dalla televisione e dalle tirate sulle piazze, che si lascia ammaliare dall’aura del potere, dei soldi e si fa sedurre dal populismo di chi gli dice che gli renderà di tasca sua le tasse versate, una dichiarazione cui non potrebbe dare credito nemmeno un bambino di tre anni.
Eppure, io la vedo diversamente. Io penso che il 30% degli italiani che hanno votato Berlusconi siano perfettamente razionali e hanno in effetti agito per difendere i propri interessi. Solo che non si tratta della razionalità classica dell’homo oeconomicus, una teoria della motivazione umana che ormai fa acqua da tutte le parti. Si tratta di un’altra razionalità, quella dell’homo kakonomicus. La kakonomia (diciamo, la scienza del peggio, o almeno della mediocrità o della cattiva economia, dal greco kakos: cattivo) è una teoria della motivazione umana che cerca di spiegare perché a volte è razionale preferire il peggio al meglio. Facciamo un esempio. Tu mi fai una promessa che sai di non poter mantenere. Io faccio finta di crederti sapendo in fondo che non manterrai la tua promessa, ma che proprio per questo non chiederai neppure a me di mantenere i patti. Diciamo che ci troviamo alle dieci in piazza. Io so che tu sei sempre in ritardo, e fa comodo anche a me uscire un po’ più tardi e ci troviamo alle dieci e un quarto senza che nessuno si lamenti di questa mancanza di puntualità. Oppure, sono tre mesi che l’idraulico deve ripassare a casa per finire la riparazione e non si fa mai trovare, però io non l’ho ancora pagato, quindi meglio così, e nessuno dei due si lamenta.
Questi scambi al ribasso, per cui io non faccio quel che ho detto di fare a patto che tu non faccia quel che hai detto che farai, sono forme di mutua connivenza molto robuste, che creano vere e proprie alleanze e strane forme cooperazione a lungo termine. Io non pago le tasse a patto che tu governi da schifo, così andiamo avanti insieme siamo complici nel mantenere uno status quo che fa comodo a tutti e due (io pago poco e tu non fai niente e ti godi le ragazze a Palazzo Grazioli). Con il sociologo Diego Gambetta, avevamo studiato il fenomeno della kakonomia nell’accademia italiana, ma ovviamente la politica è un esempio ancora più succulento (e non solo in Italia). Accordi al ribasso sono il pane quotidiano della politica e tutto va bene fino a quando non ci si rende conto che si è invischiati in una serie di impegni presi tacitamente sulla base di promesse che non si possono ammettere esplicitamente, impegni che danno un vantaggio immediato ai due “compari” che scambiano al ribasso, ma che pian piano erodono un bene collettivo del quale stanno approfittando (l’efficienza, la qualità, la puntualità, il merito).
Per esempio, se io leggo trasversalmente in cinque minuti la tesi del mio studente, lui può lavorare poco, e siamo tutti e due contenti: avrà lo stesso il titolo di dottore con 110 e lode e bacio accademico, anzi, più mi ha lasciata in pace, più si è meritato le lodi. Ma quel titolo alla lunga, a giocare al ribasso così, non varrà più niente. Allora l’homo kakonomicus che si gode i suoi scambi con i compari, dopo un po’ comincia ad essere agitato, sulla difensiva, vive come l’Innominato nel terrore della resa dei conti, di un Convitato di Pietra di mozartiana memoria che gli venga a ricordare che la festa è finita. Ha soprattutto il terrore di quelli che non sono come lui, e si rifugia quindi in un branco di kakonomi sicuri, che sa per esperienza che tollereranno le sue pecche. La kakonomia spiega perché l’Italia è un paese dove si vive bene perché tutti tollerano il peggio degli altri, e insieme si ha un’ansia terribile di essere “beccati” e puniti. Votando Berlusconi, l’homo kakonomicus ha difeso i suoi interessi di poter continuare a giocare al ribasso. Ma non si è accorto che il Convitato di Pietra era già arrivato a cena.