Non si possono dismettere i risultati elettorali che ci troviamo a commentare come una semplice anomalia italiana. L’Italia ha le sue particolarità, ma i risultati che emergono dalle urne possono essere compresi solo numeri alla mano ed in una prospettiva comparata. Ci piaccia o no, queste elezioni segnano un punto di rottura storico. Come Fonderia Oxford proponiamo un incontro il primo Marzo presso il King’s College Londra per discuterli con chi si trova nella capitale inglese.

Voglio avviare questo dibattito in evoluzione con tre considerazioni.

Primo, da un’analisi sui voti alla camera emerge che ‘i partiti tradizionali’ hanno perso piú di 10 milioni di voti rispetto alle elezioni del 2006 e 2008:

(a) La coalizione di centrodestra tra il 2008 e il 2013 ha perso più di 8 milioni di voti. Non è vero che gli italiani continuano a votare Berlusconi allo stesso modo. Se Berlusconi è riuscito nel suo intento di ‘pareggiare’ è soprattutto per l’esistenza di una legge elettorale assurda e per il crollo del centrosinistra.

(b) Il centrosinistra ha perso nel giro di cinque anni più di 3.5 milioni di voti. Se si guarda ai voti ottenuti dall’Unione nel 2006, la situazione appare ancora più drammatica, la coalizione di Bersani raccoglie poco più della metà di quella messa insieme da Prodi.

(c) Monti non è riuscito a sfondare come qualcuno si aspettava. La discesa in campo del professore ha però avuto l’effetto di azzerare Udc e Fli. Questi due partiti sembrano mestamente uscire di scena (io non ne sentirò la mancanza).

(d) Viene confermato il trend della progressiva sparizione della sinistra radicale. Così come la sinistra arcobaleno nel 2008, anche nel 2013 il raggruppamento più radicale capeggiato da Ingroia, non entra in parlamento. Forse anche qui urge un cambio totale di strategia. Modernizzare la sinistra sull’esempio di Mélenchon in Francia e Die Linke in Germania potrebbe essere una tappa obbligata.

(e) Il voto del sud contro il centrosinistra (specialmente in Puglia) è un segnale pesantissimo. Bersani in conferenza stampa lo attribuisce alla gravità della situazione meridionale e alla presa più forte del populismo. Io da calabrese che non se l’è sentita per l’ennesima volta di turarsi il naso, penso invece che la gente si sia stancata di votare certe facce.

(f) Astensionismo record che deve spingerci ad interrogarci sulla disaffezione crescente tra gli elettori (trend a dire la verità molto più accentuato in altri paesi Europei che in Italia). Quando non ci sono alternative valide molta più gente resta a casa.

Secondo, in Italia, diversamente da Francia e Grecia, il centrosinistra non ha catturato il voto di chi si oppone alle misure antiausterità. La differenza tra Francia, Grecia e Italia, è che noi non abbiamo un partito progressista capace di intercettare questi voti con un programma organico e convincente. Molti elettori tradizionalmente fedeli al centrosinistra se ne sono discostati (rifugiandosi nell’astensione o nel voto per il movimento a cinque stelle), identificando questo schieramento politico con posizioni neoliberali vicine a quelle di Monti. Al di là delle dinamiche elettorali questo tema è un problema di lungo corso del centrosinistra italiano, tedesco e inglese. E’ forse arrivato il momento di mandare in soffitta la terza via di blairiana memoria e l’avvicinamento alle politiche neoliberali per ritornare su posizioni più progressiste. C’è bisogno di un’agenda per la redistribuzione da condividere a livello Europeo (questa la mia proposta).

Terzo, occorre guardare con attenzione ed occhio scevro da pregiudizi al Movimento 5 Stelle. Il boom del movimento è spiegato da tanti fattori concomitanti: l’insoddisfazione per la classe politica e la corruzione dilagante nei partiti, una partecipazione che nasce dal basso e che non ha voglia di essere mediata dai partiti tradizionali, un uso strategico e vincente di nuove forme di comunicazione ed aggregazione, la scelta di schierarsi apertamente contro le politiche di austerità proposte a livello Europeo e la grande finanza. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

L’Italia è stata negli ultimi cento anni un generatore di nuovi fenomeni politici. Dal partito milizia di Mussolini, alla terza via berlingueriana, al partito azienda di Berlusconi. Oggi il Movimento 5 Stelle, che somiglia molto ai partiti pirati del Nord Europa ma con una base elettorale enormemente maggiore, si configura come un fenomeno politico dai contorni sconosciuti (anche agli stessi ‘grillini’). Come tutti i movimenti innovatori porta con se paure, quella del populismo e di scenari Orwelliani, ma anche una carica esplosiva che nel breve periodo può contribuire al rinnovamento dei partiti tradizionali, spingendoli a fare una serie di riforme che la gente aspetta da anni. Dal conflitto di interesse alle leggi anticorruzione, dalla nuova legge elettorale al taglio dei costi della politica, ad una riforma seria del mercato del lavoro.

Spesso ci siamo trovati a criticare i partiti tradizionali, sottolineando la loro mancanza di coraggio nel riformare il paese. Oggi sta a tutti noi, sfruttare questo momento di rottura epocale, per riempiere finalmente la parola rinnovamento di contenuti. Non è una sfida semplice ma la presenza del Movimento 5 stelle in parlamento obbliga il centrosinistra a guardare in faccia la trasformazione del paese, accogliendo alcune istanze che da troppo tempo aveva dimenticato.

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