Le scelte in Parlamento, la richiesta strisciante di dimissioni per il segretario sconfitto nel voto. I democratici marciano divisi su due fronti delicatissimi. D'Alema e la vecchia guardia contrari al patto con i 5 Stelle, che invece piace ai "giovani turchi", da Civati a Fassina. Il ritorno (silenzioso) di Matteo Renzi
Il rapporto con i Cinque Stelle, in Parlamento. Il ritorno di Renzi e la partita della segreteria, nel Pd. Sono i due fronti delicatissimi aperti davanti Pier Luigi Bersani dopo la sostanziale sconfitta alle elezioni del 24-25 febbraio, che hanno restituito un Senato ingovernabile con le sole forze dei democratici, anche con l’eventuale aggiunta dei montiani. E su entrambi i fronti il Pd marcia diviso: l’idea di un accordo con Grillo su punti qualificati come i costi della politica e il lavoro non va giù alla vecchia guardia, Massimo D’Alema in testa, mentre piace ai dirgenti di “seconda generazione”, come Civati, Fassina, Orfini, determinati a portarla avanti. L’alternativa all’appoggio esterno del pattuglione grillino è un governo di larghe intese presieduto da Giuliano Amato, con la benedizione del presidente della Repubblica.
Solo oggi viene reso noto il contenuto di un’intervista a Beppe Grillo alla Radio svizzera italiana: “Noi non stiamo alla finestra: entriamo. Ma inciuci, inciucietti e accordi non ne faremo. Ci accorderemo solo sulle idee, che devono essere condivise con il nostro programma. Non c’è altra alternativa per noi”. E ha aggiunto: “Devono andare a casa e se non ora ci andranno entro un anno massimo”. Oggi però il comico genovese è tornato sul’argomento con ben altri toni, definendo Bersani “morto che parla” e “stalker politico”. Nessun voto di fiducia a un eventuale governo di Pd, è la linea spiegata Grillo, ma piena disponibilità a votare provvedimenti come l’abolizione dei rimborsi elettorali e il reddito di cittadinanza.
Intanto il cattivo risultato elettorale fa serpeggiare la richiesta di dimissioni di Bersani, oggi rintuzzata dal vicesegretario Enrico Letta: “Il candidato del centrosinistra per un governo su cinque punti caratterizzanti, dalla moralità della politica all’occupazione, è sempre Bersani”, afferma, “perché vogliamo metterci tutta la forza del Pd’’ e dell’uomo “che ha vinto le primarie e avuto la maggioranza degli elettori”. Letta ha ribadito la formula bersaniana che evita di chiamare in causa troppo direttamente il movimento di Grillo: “Chiederemo voti a tutto il parlamento per un governo che sia di svolta soprattutto sui temi della moralità della politica, della lotta alla corruzione, per un’Europa diversa, per l’occupazione e siamo convinti e speriamo che l’attenzione a questi temi troverà consenso”. E ha aggiunto: “Siamo per accelerare il più possibile intese che evitino perdite di tempo”.
Matteo Renzi al momento resta a guardare e non partecipa ai “caminetti”, vale a dire alle riunioni di vertice del partito dove si discutono le strategie per uscire dalla palude parlamentare. Le due partite sono ovviamente intrecciate, anche se Renzi non si è pronunciato ufficialmente, fino a questo momento, sull’idea lanciata da Bersani di un patto con i parlamentari di Grillo. Ma certo il giovane leader che ha puntato tutto sull’allargamento del Pd ai moderati non vede nei 5 Stelle i suoi interlocutori naturali: “Dovrei ripetere che il nostro compito era snidare gli elettori delusi del centrodestra? Che non bisognava sottovalutare Berlusconi? Oppure che dovevamo fare nostri alcuni temi di Beppe Grillo? Inutile, ora”, si sarebbe sfogato il sindaco di Firenze.
Renzi attende che il segretario “indichi la rotta”. Ma avrebbe aggiunto: “Annoto solo che ci stiamo mettendo nelle mani di Grillo, gli abbiamo regalato un rigore e ora vediamo come lo calcerà. Naturalmente, pensiamo ai timori in Europa di fronte a un centrosinistra che pende dalle labbra di Grillo”. Da registrare, però, l’endorsement a Bersani come nuovo segretario del Pd da parte di Virginio Merola, il sindaco di Bologna che proprio ieri l’omologo 5 Stelle di Parma Federico Pizzarotti.
Anche sul che fare in parlamento, il Pd è come al solito diviso. Con i “giovani turchi”, come li definisce Repubblica, favorevoli all’intesa con Beppe Grillo e la vecchia guardia, atterrita dalla sola ipotesi, che punta a mettersi nelle mani di Napolitano, con un possibile sbocco nel governissimo Pd-Pdl-Monti. Tra i primi, Stefano Fassina, Matteo Orfini, ma anche il consigliere di Bersani Miguel Gotor, elenca il Corriere della Sera. Ma all’accordo sta lavorando anche Giuseppe Civati, l’ex consigliere regionale lombardo già con Renzi all’epoca dei “rottamatori”, ora eletto deputato. Che il patto con Grillo lo aveva indicato, ancora prima di Bersani, come un modo non solo per mettere fuori gioco Berlusconi, ma anche per riprendere in mano il gioco dopo lo “choc” elettorale. Tra i sostenitori di una soluzione più istituzionale ci sono Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Paolo Gentiloni.
Favorevole all’apertura ai 5 Stelle anche Nichi Vendola, anche perché l’ipotesi di un governissimo lascerebbe Sel fatalmente fuori.