Mario Calabresi, una volta l’anno a Ballarò (l’ultima due sere fa), ripete trasognato che “Grillo ha trovato il casello autostradale perché i giovani imboccassero la politica, i grillini non sono uno spauracchio ma una risorsa”: condivisibile, se non fosse che Calabresi è lo stesso che tre anni fa li tratteggiava come dei mezzi matti folklorici, incolpandoli – tra i mille reati – della sconfitta di Lady Bresso in Piemonte. Luca Sofri, anche ieri, ha ripetuto che i grillini si sentono superiori e peccano in manicheismo: legittimo pure questo, se non fosse che Sofri spalleggia quei “giovani vecchi” del Pd (le Moretti, le De Micheli) secondi a nessuno quanto a supponenza immotivata. Più pindarico – ma centrato – Massimo Gramellini, che se li immagina come dei “secchioni un po’ nerd”, sempre abituati a mettere in discussione tutto e non fidarsi mai. Non è solo questione di giovinezza. Anche Orfini lo sarebbe, ma giusto all’anagrafe.
L’eletto a 5 stelle è un parvenu totale, che sbandiera l’ingenuità come ulteriore cifra distintiva. Essere nudo di esperienza non è per loro un limite, bensì stimmate ulteriore di purezza. Rifiutano la parola “onorevole”, preferendo quella di “cittadino”, perché inseguono la normalità e auspicano una politica dove il professionismo sia un orpello desueto. Beppe Grillo, che li ha stanati e lanciati (anche se non li conosce tutti e già ammette: “Gli Scilipoti li avremo anche noi”), ripete ai giornalisti di mutare linguaggio. “È cambiato tutto”. Esagera, ma lo sbarco dei grillini è una novità storica. Un cazzotto in faccia ai baronati, all’immobilismo generazionale. Non c’entrano nulla con i balilla e nemmeno coi bersaniani juniors, perché alla militanza burocratica preferiscono un’appartenenza forse esaltata ma allo stato brado: fuori dagli schemi. Se libertà è partecipazione, appartenenza è sentirsi parte di una “comunità”.
Parola, non a caso, usata sistematicamente da Grillo durante lo Tsunami Tour. Molti di loro si sono formati dopo la caduta del Muro. Quando ripetono “né destra né sinistra”, non è per qualunquismo. Molto semplicemente, sono cresciuti in un paese in cui “destra” era Fini e “sinistra” D’Alema: per forza che non trovano differenze. Per loro – cresciuti a pane e mouse – essere “post-ideologici” è un afflato naturale. Debole anche il paragone con la prima Lega. Se Grillo può a volte somigliare a Bossi, i neoparlamentari grillini nulla c’entrano coi Calderoli. Ecco un’altra anomalia: l’eletto leghista era un clone sbiadito del Capo, mentre quello grillino è quasi opposto a Grillo: il guru è eccessivo, il militante un chierichetto. Il megafono parla alla pancia, il parlamentare al cuore. I 5 Stelle sono pericolosissimi per la Casta, proprio perché fieramente avulsi dal contesto. Nonché convinti di poter cambiare veramente le cose (persino gli italiani: e qui risiede la loro utopia maggiore). Vega Colonnese, deputata 33enne disoccupata, non sembra appartenere alla stessa razza di Razzi. Eppure si incontreranno, si saluteranno. Montecitorio e Palazza Madama sono ambienti autoreferenziali. Stantii. Troppo spesso mefitici. Ora arriva l’elettroshock.
L’innocenza può salvare il mondo, perché eversiva. Ma l’innocenza, in sé, nasce perduta. Nei Comuni e Regioni dove già operano, i grillini sono guastatori instancabili. Il Parlamento è un’altra cosa. Gli ingranaggi subdolamente oliati della burocrazia potrebbero contaminarli. Ogni loro errore verrà amplificato da una maggioranza silenziosa che, per Dna, è incline a godere anzitutto dei rovesci del diverso: del moralizzatore, del purificatore. Idealisti disinnescati, rivoluzionari sui generis o anche solo virus benefici in un microcosmo incancrenito: adesso tocca a loro.
Il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2013