Così tanto per esprimere un giudizio, non capisco tutta quest’ansia dei miei dintorni. Forse perché la mia generazione al riguardo ha sempre avuto un’asticella alta. I nostri ci raccontavano la tragedia del ventennio e l’asprezza della Resistenza. Poi per noi poco più che adolescenti, arrivò quel che arrivò, che è ben diverso da quel che capita oggi. Nessuna bomba in nessuna banca, nessuna Stazione squarciata dalla furia fascista, nessun treno esploso, nessun aereo scomparso col suo carico di vita in fondo al mare. Nessun morto ammazzato da chi ogni tanto aveva il convincimento di qualche verità in tasca. Nessun morto, almeno per adesso in questi ultimi giorni, delle tante mafie che ormai spadroneggiano da troppo tempo nelle nostre città, limitandosi ad essere, si fa per dire, metastasi di molte attività, trafficanti di armi, ruffiani di infinita prostituzione e spacciatori di droghe e mozzarelle blu, cose che se non mi sbaglio non fanno rimanere in apprensione più nessuno. Sto parlando polemicamente (non dimenticatevi che son fiorentino) sempre con i miei dintorni .
Se non sbaglio abbiamo avuto a che fare solo con gente che è andata a votare. “È la Democrazia ragazzi”, vorrei ricordare a Massimo D’Alema, che di recente ha lui per primo usato, rivolgendosi a dei giornalisti dopo le primarie, questa frase, con un sorriso beffardo per chi aveva perso, dimenticandosi che probabilmente qualche piccola forzatura era stata compiuta. Se non ricordo male 182.000 respinti al secondo turno, che con il loro voto non avrebbero cambiato il risultato ma avrebbero semplicemente espresso la loro sacrosanta opinione. Ora molti milioni sono andati a votare, ognuno con una sua convinzione. Chi prigioniero forse del miope convincimento (questa è una mia illazione) di badare ai propri interessi, chi nella speranza di una politica ancora capace di riformare, anche senza troppi sconquassi, sempre perché forse abituatissimi a tapparsi il naso, spesso e volentieri chi come me abita nei cosiddetti collegi sicuri.
Nessun generale golpista bussa alle nostre porte, ma in questo paese che come in un tormentone gli intellettuali fino a ieri ribadivano “nessuna rivoluzione è stata mai possibile”, qualcosa di assolutamente rivoluzionario è accaduto. Sono solo andati a votare nuove persone piene di coraggio. E chi c’è andato, tralasciando il raddoppio numerico di chi proprio non c’è voluto andare, era convinto che la misura fosse colma e nella sincera speranza di un auspicabile e necessario cambiamento, dove le parole etica e passione civile riacquistano un senso.
Beh, adesso non avremmo più alibi, questo bisogno si è fatto primario e si è espresso in un numero inimmaginabile fino a poco tempo fa. Leggevo sul solito giornale che ne sa più degli altri, un commento dell’ultima giornata: “piazza piena urne vuote”. Si son sbagliati, e continuano a non capire quel che sta succedendo. Anche io d’altronde avevo capito fino a un certo punto. Poi d’un tratto quando il “matto” in San Giovanni ha urlato il dolore di un Paese che si alza la mattina con il terrore della propria cassetta delle poste e di quello che ci puoi trovare dentro, ho capito e sono così corso ha telefonare a qualche giovane amico che mi confermava quello che poi è apparso a tutti il giorno dopo. Sì, sono arrivati i Tartari. Faranno un deserto alzando le loro tende ma insemineranno la nostra implosione civile di semplici nuove idee. Si saranno armati di idee e non di scimitarre, armati di dichiarata onestà e tante altre cose di cui abbiamo assoluto bisogno. Io rimango alla fine delle mie opinioni. Ho la mia età e già aver inteso la voglia del mio sindaco di (si può dire adesso?) rottamare, mi era parsa cosa seria. Ma poi, per colpa di quella “cassetta delle lettere”, ho inteso dentro di me quel che stava per succedere. Sì, ho avuto il gusto di saper prevedere come sarebbe andata e senza spendere una lira. E devo essere sincero, son felice di quel che è successo e son certo che tutto andrà per il meglio.
Meglio per chi cerca lavoro, meglio perché come me ama il suo lavoro. Meglio per i pensionati che questa nuova politica potrà guardare negli occhi senza piangere per le proprie bugie. E andrà meglio anche, stiate certi, per i nostri vicini europei, che di questo nostro sistema malato non ne poteva più. Meglio per chi arriva da immigrato, meglio per chi come me vive della sua impresa con molti straordinari collaboratori, che mal comprendono dove vanno a finire tutte le ritenute dalla loro busta paga. Meglio per i sedicenni che dovranno votare alle prossime primarie del mio partito, o forse chi sa, del mio ex partito. Già, perché la libertà è affascinante quasi quanto l’onesta, la fraternità e l’uguaglianza. Forse come badavamo a dire qualche tempo fa “È solo l’inizio…” di questa bellissima “Innocente Rivoluzione”.
Ora fatemi fare il cuoco che brinda al successo di chi è arrivato primo, leggo in ogni dove, mangiando sempre in pizzeria.
Buon lavoro, ne abbiamo bisogno.
“Pasta che va e che viene”, anche chiamata “Del vecchio e del nuovo”.
Per quattro persone, rosolate un paio di porri affettati a rondelle con una tripla noce di burro e al primo apparire del color bronzo aggiungete un paio di etti di piccoli tocchetti di zucca gialla tipo “mantovana”. In parte li rosolerete e in parte li stuferete, il tutto per pochi minuti. Infine fate un bicchiere di baccelli freschi sbucciati dalle prime fave che stanno arrivando nei mercati e aggiungeteli perché anche loro sentano l’accorato abbraccio dell’invernale zucca. Condite poi la pasta fresca che preferite, anche se io non resisto ad usare tagliatelline lasciate molto al dente con buon olio a crudo più tutto l’intingolo, una spolverata di pochi amaretti triturati finissimi e pepe nero mischiandolo a del peperoncino sempre macinato. Parmigiano in dose minima ma necessaria, mischiato o sostituito da un, se ne avete di buono, provolone dolce o, se piace, piccante.
Arrendersi alle altrui opinioni può essere meraviglioso.