Il sovra-sfruttamento ittico dei mari africani da parte dei pescherecci europei rischia di trasformarsi in una bomba umanitaria che travolgerà anche il vecchio continente. Greenpeace: "Presto il mare non sarà più in grado di sfamare la popolazione"
I mari dell’Africa occidentale sono al collasso. Le cause? Sovra-sfruttamento ittico, degrado ambientale, corruzione. In Paesi come il Senegal, in particolare, il sistema delle licenze di pesca è in mano alla criminalità organizzata. Che, con la complicità di politici e imprenditori, sta letteralmente svuotando quella parte di Atlantico. A rivelarlo sono le associazioni locali dei pescatori, che avvertono: “Di questo passo potrebbe non esserci più pesce entro dieci anni”. Un declino allarmante dovuto anche all’iperattività dei pescherecci stranieri, a partire da quelli europei. Che, in un solo giorno, possono catturare tanto pesce quanto 56 piroghe locali in un anno. Risultato: nel più importante mercato ittico senegalese, quello di Joal, lo scorso anno ci si è potuto trovare il 75% di pesce in meno rispetto al 2002. Una bomba a orologeria sia in termini ambientali che sociali: oltre alla possibilità di rimanere senza pesce, infatti, cresce il rischio di conflitti, pirateria ed emigrazione clandestina. Soprattutto verso l’Europa.
I mari dell’Ue non sono in grado di soddisfare la sua vorace richiesta di pesce? Nessun problema, basta recarsi altrove: dall’Oceano Indiano a quello Atlantico, oltre un quarto del pesce catturato dai pescherecci europei proviene da Paesi in via di sviluppo. Uno su tutti, il Senegal. Affacciato sull’area marina più pescosa dell’Africa occidentale, questo Paese notoriamente pacifico potrebbe presto non essere più tale. Il motivo? Le sue riserve ittiche, saccheggiate da pescherecci provenienti da Cina, Russia, Corea, Islanda, ma soprattutto Spagna e altri Paesi Ue, si stanno rapidamente esaurendo. “Il nostro pescato è di tre quarti inferiore rispetto a dieci anni fa”, lamenta Samb Ibrahim, direttore del porto di Joal, 110 km a sud della capitale Dakar: “All’inizio, quando le imbarcazioni straniere sono arrivate, c’era meno competizione fra loro e i pescatori locali, e c’erano meno persone che dipendevano dalla pesca. Ma ora” -puntualizza – “al calo di pesce disponibile corrisponde una crescita sia della popolazione che del numero di pescatori”.
(immagini Greenpeace International)
In meno di vent’anni, la situazione dei Paesi africani affacciati sull’Oceano Atlantico, dal Marocco al Senegal, fino ad arrivare al Togo e Sao Tome e Principe, è peggiorata tanto da mettere a rischio, secondo la Fao, milioni di persone. Dietro questa situazione c’è un giro d’affari enorme, legato non solo al mercato ittico, ma anche al sistema di licenze rilasciate dai Paesi africani: “I governi sono diventati dipendenti dai ricavi ottenuti dalla vendita dei diritti di pesca a imprese e nazioni straniere”, fa presente Ibrahim. Un problema molto senegalese, nonostante la scelta di Dakar di non aderire più (già dal 2006) ai cosiddetti Fisheries Partnership Agreement, accordi con cui l’Ue “fornisce un sostegno tecnico e finanziario in cambio dei diritti di pesca”.
Una scelta obbligata per il Senegal dopo che, con una spedizione di cinque settimane, Greenpeace individuò nei mari senegalesi e mauritani 126 pescherecci, di cui 93 stranieri e ben 61 provenienti dall’Ue. Apparentemente allarmato dall’irrimediabile svuotamento dei suoi mari, nel 2012 il nuovo governo senegalese ha così deciso di bloccare le licenze di pesca a tutte le imbarcazioni straniere. Ma a quasi un anno di distanza, questa scelta non sembra avere portato ai risultati sperati. Colpa di un livello di corruzione senza precedenti della classe dirigente senegalese. Un sistema di accordi clandestini, commerci illegali e scambi di favori che vede coinvolti ministri, avvocati, uomini d’affari, e che fa ormai parlare di una vera e propria “mafia delle licenze di pesca”.
“Chiediamo all’Unione europea di fare qualcosa, perché la società senegalese si sta destabilizzando”, ci dice Abdou Karim Sall, presidente dell’Associazione dei pescatori di Joal e del Comitato per le riserve marine dell’Africa occidentale: “L’unica risorsa del Senegal è il mare: qui una persona su cinque lavora nell’industria ittica. Immaginate cosa succederà quando queste rimarranno disoccupate”. Le persone sono in condizioni sempre più precarie, avverte Sall, e di questo passo “il Senegal diventerà come la Somalia”. In che senso? “Stanno crescendo il fenomeno della pirateria e della pesca illegale”, rivela Abdou Karim Sall. Secondo le Nazioni Unite, in effetti, nei mari dell’Africa sub-sahariana le perdite dovute alle pratiche illegali ammontano già a un miliardo di dollari all’anno, pari al 25% delle esportazioni annuali di pesce di tutta l’Africa. Ma la situazione non sembra destinata a migliorare. “Di sicuro fra dieci anni le persone andranno a pescare armate”, conclude Sall: “Oppure emigreranno clandestinamente verso l’Europa”