Perché il punto cruciale è il seguente: Bersani si illude di poter “aprire” a Grillo utilizzando il “politichese” e i suoi rituali. Se davvero ha deciso – malgrado le ingiunzioni di Scalfari al “governissimo”e la rivoltante boutade di D’Alema che vuole consegnare la presidenza di una camera a Berlusconi – di non prendere in considerazione nuove pastette col caimano, per dialogare col M5S deve utilizzare il “linguaggio del corpo”, cioè delle decisioni concrete, dei gesti impegnativi, dimenticando quello delle vaghe promesse e delle mosse tattiche.
Ieri su questo giornale Dario Fo ha elencato almeno dieci punti che il Pd potrebbe condividere nel programma M5S, ma sono impegni che Bersani dovrebbe assumere unilateralmente, senza chiedere contropartite. Saranno poi i cittadini a giudicare – positivamente o negativamente – i “fatti” con cui Grillo, Casaleggio e i “ragazzi” del M5S decideranno di rispondere, secondo una sintassi nuova a cui i politici dovranno abituarsi.
Si pensi solo a cosa succederebbe se Bersani dicesse: “la tav non si fa più, perché in effetti non serve a nulla, lo hanno spiegato i migliori tecnici disinteressati, scusateci se abbiamo fin qui insistito, ma il bene dei cittadini viene prima del profitto di qualche costruttore”. O se annunciasse che verrà rispettata la legge 361 del 1957 secondo cui Berlusconi è ineleggibile (e dovrà perciò affrontare senza immunità la sentenza Ruby e le inchieste sui 3 milioni versati a De Gregorio per fargli cambiare casacca – comprare un parlamentare non è solo corruzione è roba da attentato alle istituzioni!). Berlusconi questa volta è finito davvero, se Bersani non lo salva. Decida: legalità (col M5S) o inciucio/impunità?
Il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2013