Premono il pedale dell’acceleratore. Vogliono portare a galla gli altri, per ora presunti, misfatti della ThyssenKrupp dopo la riduzione delle condanne di giovedì. I sostituti procuratori Laura Longo e Francesca Traverso, che insieme al pm Raffaele Guariniello hanno condotto l’indagine sul rogo mortale del 6 dicembre 2007 e i due gradi di processo, vogliono chiudere formalmente altre tre inchieste connesse e aprire nuovi procedimenti. Lo vogliono anche i familiari delle vittime, rimasti delusi dalle condanne più leggere. Durante la loro occupazione dell’aula del palazzo di giustizia hanno più volte ricordato che alcune persone, a loro modo responsabili della situazione di degrado dello stabilimento, sono ancora impunite.
Si tratta di tre indagini che svelano alcuni retroscena sulla gestione e sulle carenze dello stabilimento di Torino e sui controlli, ma anche le manovre per non fare emergere questi particolari. Un’opera di insabbiamento compiuto dalla multinazionale tedesca.
Indagato l’ingegnere consulente della difesa. Una delle indagini verte sull’ingegnere Berardino Queto, un tecnico che in passato aveva realizzato la valutazione del rischio incendi per l’azienda e poi è stato consulente della difesa dei manager realizzando una perizia sulla dinamica del rogo. L’ingegnere è indagato per omissione volontaria di cautele contro gli incidenti e per omicidio colposo, gli stessi reati per cui sono stati condannati i manager della ThyssenKrupp. Secondo gli inquirenti nella sua valutazione dei sistemi di sicurezza c’erano molte lacune e una descrizione non veritiera delle condizioni della fabbrica. “La valutazione dei rischi – avevano detto i pm durante il processo di primo grado – è stata confezionata ad arte per arrivare a determinare un rischio di incendio medio su quasi tutti gli impianti e per creare preventivamente una giustificazione per la mancata adozione degli impianti automatici di rilevazione e spegnimento incendi che avrebbero potuto salvare la vita ai sette operai”.
Le soffiate sui controlli da parte di personale dell’Asl. Le misure di prevenzione e sicurezza dello stabilimento erano carenti, ma la fabbrica continuava a operare anche grazie alla “benevolenza” di alcuni funzionari dell’Asl To 1. Almeno quattro dipendenti, un dirigente e un funzionario del “Servizio prevenzione e sicurezza sugli ambienti di lavoro” (lo Spresal, che deve comunicare sanzionare le aziende non in regola e comunicare alla procura le carenze delle misure preventive) sono sospettati di aver avvertito i responsabili dell’azienda sui controlli, che dovevano essere a sorpresa, dando così l’opportunità di rimediare in tempo. Il comportamento è dimostrato da una mail che il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri, condannato nel processo principale, aveva mandato ai capireparto il 12 dicembre 2006: “Vi informo che venerdì 15 vi sarà un’ispezione da parte di funzionari dell’Asl”. Chi l’aveva avvertito? C’è poi il sospetto sulla scomparsa di alcuni documenti dell’Asl scritti dopo le ispezioni: i pm avevano chiesto delle copie dei verbali redatti, ma solo alcune furono consegnate.
Il tentativo di condizionare i testimoni – Il responsabile della sicurezza Cafueri, durante il periodo del processo di primo grado, aveva incontrato alcuni testimoni prima delle loro deposizioni e aveva consegnato loro dei biglietti con le linee guida per modificare la loro testimonianza e dare un’immagine migliore delle condizioni di sicurezza. Gli incontri sono stati negati dai testi stessi davanti ai giudici, ma sono stati documentati dagli agenti della Guardia di Finanza e sono emersi dalle intercettazioni degli manager durante l’indagine. Alcuni sospetti erano caduti su alcuni operai, contattati prima delle loro deposizioni in aula, ma dopo essere stati scoperti molti hanno ritrattato e sono stati prosciolti. Guariniello, Longo e Traverso hanno comunque iscritto nel registro degli indagati dodici testimoni della difesa, a cui se ne aggiungono altri tre (Arturo Ferrucci, Leonardo Lisi e Frank Kruse) i cui nomi che sono emersi pubblicamente alla lettura della sentenza di primo grado: i giudici della corte d’Assise, su richiesta dei procuratori, avevano restituito agli inquirenti gli atti dell’indagine in loro possesso per nuove verifiche. Cafueri invece si era presentato in aula per rendere delle dichiarazioni spontanee alla Corte: “Non era assolutamente mia intenzione indurre i testi a falsa testimonianza”.
Le inchieste – si apprende da fonti della Procura – sono complete e manca la chiusura formale e la richiesta di rinvio a giudizio. I magistrati volevano aspettare che la sentenza definitiva della Cassazione, ma dopo la decisione della Corte d’assise d’appello, Longo e Traverso pensano di debba cominciare il più presto possibile per fare emergere queste anomalie.