“Più diventa tutto inutile più credi che sia vero” – Il capitalismo agonizzante che cerca di sopravvivere a se stesso
Un po’ ovunque si respira un’aria da “fine dei tempi”. Volgendo lo sguardo d’attorno si vede quanto sia ampia e grave la crisi che si stringe attorno a noi. “Il mondo si avvia al tramonto” scriveva Charles Baudelaire nei suoi Diari Intimi “L’unica ragione per la quale si conserva è perché esiste. Infatti, anche supponendo che esso continui d’esistere materialmente, sarebbe questa un’esistenza degna di questo nome?”[1]
Le parole del poeta ci sembrano attagliarsi particolarmente alla realtà di oggi. Tralasceremo di riferirci alle patetiche vicende nostrane. Così come non ci sembra valga la pena soffermarci sulle squallide vicende continentali, sulla fine ingloriosa del tanto declamato ‘Sogno europeo’ che non si capisce che forma avesse, da chi sia stato sognato e per quale fine (in realtà, questo un po’ si capisce).
Ma, anche sbirciando un po’ più in là dai nostri angusti confini, si percepisce un clima da ‘ultimi giorni dell’Impero’, di qualunque impero si tratti, l’impero occidentale, l’impero dell’economia, l’impero della modernità, l’impero del progresso e dello sviluppo.
Ovunque volgiamo lo sguardo possiamo vedere innumerevoli crisi che convergono sino ad intersecarsi e sovrapporsi, rendendo il quadro assai complicato: clima, ecosistemi, risorse, economia. Il capitalismo agonizzante che cerca di sopravvivere a se stesso.
Scrisse Joseph Conrad: “Metà delle parole che usiamo non hanno alcun senso, e l’altra metà viene capita come dettano la follia e la presunzione di ciascuno”[2]. La forza delle parole nasce dai contenuti immaginari che esse evocano: è l’immaginazione che le rende pregnanti e significative. Molto spesso accade che esse perdano il contatto col loro senso reale e diventino vuoti suoni che non servono più ad esprimere un significato ma a supplire alla sua assenza. In questo caso la loro funzione è soltanto quella di alimentare la suggestione e l’ illusione collettiva. Vi sono parole che più di altre vagano nel mondo e che, anche se sono ormai vuoti suoni, forme senza sostanza, danno forma all’immaginazione della nostra epoca. Alcune di queste individuano i principali miti della nostra civiltà: la crescita perpetua e il progresso senza fine, le vuote parole d’ordine che cercano di nascondere, sotto un velo di menzogne, il lento collasso della nostra civiltà.
La fede in questi miti è ciò che sorregge il Sistema, ancora essa guida in nostri pensieri e i nostri atti. Purtroppo, la realtà fattuale ci dice che questi miti, sono giunti alla fine del loro corso. Forse, è giunto il momento di immaginarne altri.
La frase del titolo è presa dal brano di Franco Battiato: “Il Re del Mondo”
[1] Charles Baudelaire, Journaux intimes, Les Editions G.Cres et C., Paris 1920
[2] Lettera a R.B. Cunninghame Graham del 14 gennaio 1898