Stiamo ruzzolando verso le urne. Giugno, ora si dice. Un capitombolo ai confini dell’ignoto, una prova senz’appello di suicidio collettivo. Il vincitore, se mai dovesse accadere di vederne uno prevalere sugli altri, si troverebbe seduto sopra un cumulo di macerie.

Pier Luigi Bersani dovrebbe guardare oltre la sua porta e la sua poltrona e valutare se non sia il caso, prima ancora di chiederlo a Grillo, di esibire un suo gesto di responsabilità. Come non comprendere che il proprio nome in campo, malgrado ogni buona volontà, edifica solo un muro di insulti, strangola la vita del Partito democratico dentro il rito consumato di una prova di forza inconcludente?
Non è lo sconfitto che “stana” il vincitore di queste elezioni. E poi: perché mai il Movimento 5 stelle dovrebbe concedere la fiducia al capostipite dei suoi detrattori?
Qual è la formuletta magica, la domandina finale: o così oppure a casa?

Il tono padronale di questo aut aut, invece che ricomporre, allarga, dilata, chiama alla battaglia. Battaglia già persa, sconfitta annunciata. E se è impensabile per il Pd fare un governo della moralità pubblica col sostegno del più grande corruttore in circolazione, è indiscutibile che la sfida a cui è chiamato il maggior partito della sinistra è cercare, in ogni modo, un sistema che ponga l’Italia al riparo da una ulteriore prova elettorale che forse la manderebbe definitivamente in rovina. Servono occhi nuovi per guardare questo nuovo mondo.

Esistono nomi di valore, personalità dal profilo adeguato a sollecitare nel variegato e caotico movimento grillino una riflessione, una prova di fiducia, magari tecnica, per segnare l’idea di un cambiamento possibile, da subito. Questo giornale ha già illustrato l’esperienza e le qualità di Stefano Rodotà. Altri, come per esempio Fabrizio Barca, potrebbero ugualmente essere chiamati a immaginare (servirà uno sforzo davvero creativo!) una via di fuga, una luce alla fine di questo tunnel.

Il Fatto Quotidiano, 5 Marzo 2013

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