”Eccezionale disvalore del comportamento manipolatorio”: è il concetto che esprimono i giudici della Corte d’Appello di Torino nel motivare l’entità della pena (1 anno e 4 mesi) inflitta a Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti al termine del processo Ifil-Exor. La causa non riguardava il meccanismo dell’equity swap che nel 2005 permise a Ifil di mantenere il controllo della Fiat, ma il contenuto di un comunicato diffuso da Torino, su richiesta Consob, costato un’imputazione di aggiotaggio informativo.

Il comunicato in questione affermava che, alla vigilia del convertendo con le banche, non erano in programma né allo studio iniziative particolari sul titolo Fiat. La Consob prima e la procura di Torino poi hanno ritenuto che questa dichiarazione non fosse veritiera, mentre le difese hanno replicato che era del tutto corretta e che non c’è stata una turbativa dei mercati.La Corte, nel motivare l’entità della pena, ha sottolineato che il processo “riguarda il maggior gruppo industriale del Paese” non solo per le dimensioni ma anche per la sua “rappresentatività nazionale e internazionale e il suo patrimonio storico”. Ecco perché – scrivono i giudici – il “disvalore” è stato “eccezionale”: potenzialmente può “proiettarsi sull’intera comunità economico-finanziaria e così indurla a condotte analoghe. Altra caratteristica sfavorevole è costituita dal comportamento di prolungata menzogna o quanto meno reticenza, pur a fronte di autorevole sollecitazione da esso proveniente, tenuto avanti alla Consob”. Gabetti e Grande Stevens meritano comunque le attenuanti generiche “nella massima estensione” per il comportamento processuale: hanno riferito i fatti “con evidente franchezza”, anche se non hanno fornito “la giusta chiave interpretativa”. 

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