Prodi, Rodotà, Renzo Piano oppure un parlamentare, il nome conta poco. Quello che conta sono i numeri. Il prossimo Presidente della Repubblica, sarà scelto infatti non tanto per la popolarità o l’alto senso dello Stato ma per questioni di pura matematica. Dietro alle uscite di questi giorni, infatti, c’è anche un calcolo di convenienza suggerito dall’antico pallottoliere. Tanto che in più di una occasione Bersani ha virato le sue esternazioni sul Quirinale, anticipando il dibattito sull’ultimo tra gli adempimenti che attendono i parlamentari della XVII legislatura.
Perché farlo? In calendario vengono prima le grane della formazione dei gruppi, dell’elezione dei presidenti delle camere che portano allo scoglio sommo della fiducia al governo. Perché mai invertire la tabella di marcia? Perché, con i suoi i voti, se il centrosinistra batte queste strade rischia di inciampare a ogni passo, che vada dietro a Grillo o rifugga l’abbraccio mortale di Berlusconi. A partire dalla nomina del Presidente del Senato che costringe a passare per alleanze e mediazioni. A differenza della Camera, infatti, dal terzo scrutinio in poi è richiesta la maggioranza assoluta dei votanti, non dei componenti. L’esito del voto è dunque vincolato alla presenza in aula dei grillini e quindi a un accordo con M5S. E allora ecco la via d’uscita: temporeggiare sulle scadenze scivolose, accelerare sulla questione Napolitano, l’unica su cui il Pd rasenta l’autosufficienza e può far valere una posizione di forza che obblighi gli altri a trattare. Lo dice, appunto, l’aritmetica.
Il collegio elettorale per il nuovo Capo dello Stato sarà composto da 1.007 “grandi elettori” che dovranno esprimersi con un voto a maggioranza dei 2/3 nei primi tre scrutini e a maggioranza assoluta dal quarto in poi. Allo stato attuale la coalizione di centrosinistra può contare su 348 deputati e 124 senatori, compresi gli eletti nella circoscrizione estere. Poi ci sono 58 delegati regionali il cui voto, ipotizzato per mera appartenenza politica, consente di prefigurare l’arrivo a un passo dalla meta. La regola per il “plenum” del Colle è che a Roma si materializzino tre rappresentati regionali, due come espressione della maggioranza e uno per l’opposizione. Il centrosinistra in dieci regioni governa e in altrettante è all’opposizione (ma non ha un delegato dalla Val d’Aosta che manda un solo rappresentante).
“In Sicilia – ipotizza il costituzionalista Antonio D’Andrea – il governo multicolore tra Crocetta-M5S rende plausibile che si presentino tre delegati di diverso colore”. In tutto, quindi, la coalizione di Bersani si può presentare in aula con altri 29 delegati che portano a 501 i grandi elettori in quota. Ne bastano altri tre per mettere il cappello sull’uomo che dovrà affidare il futuro incarico di governo o sciogliere di nuovo le camere. E non sarà un’impresa difficile pescarli tra le file della Lista per Monti, dal M5S o addirittura del centrodestra. Altri potrebbero arrivare dai quattro senatori a vita, “ma non si sa quanti saranno effettivamente in aula e se Giulio Andreotti potrà optare per un nome indicato dalla sinistra”, ragiona D’Andrea.
Questo il calcolo delle convenienze in via Del Nazareno. Che dev’esser stato rappresentato allo stesso Napolitano, il quale a sua volta ha congelato qualsiasi ipotesi di proroga del mandato. Anzi, se le indiscrezioni hanno un peso, quella più importante lo vede dare dimissioni anticipate rispetto alla scadenza naturale del mandato (15 maggio).
In realtà l’accelerazione su Napolitano pone più d’un problema. Le dimissioni anticipate sarebbero di per sé “irrituali”, oltre che inconsuete nel bel mezzo della convocazione delle Camere (il 15 marzo) e lo scioglimento della legislatura. “Un’accelerazione in questo momento sarebbe anche inopportuna”, rimarca D’Andrea. “Occorre del tempo per far decantare le formazioni politiche appena uscite dalle urne. I grillini hanno appena avuto la loro assemblea a Roma, mercoledì si tiene la direzione nazionale del Pd”.
Resta da capire se Grillo ha codificato il gioco di Bersani e il rischio di trovarsi un neo presidente sopra la sua testa. C’è anche questa consapevolezza, forse, dietro l’onore delle armi che l’ex comico ha reso a Napolitano dopo l’annullamento della cena con l’aspirante cancelliere tedesco Steinbrück, quello che aveva ironizzato sull’elezione di “due clown”. Fino al giorno prima Napolitano era “Morfeo” o addirrittura “Salma”. Quel giorno, finalmente, è diventato “il mio presidente”. Potrebbe essere una coincidenza. O forse il pallottoliere lo usa anche Grillo.