C’è anche il padre del giocatore del Pescara Giuseppe Sculli tra i venti arrestati dalla guardia di finanza di Reggio Calabria. In manette infatti è finito anche Francesco Sculli, funzionario del Comune di Bruzzano Zeffirio, nella Locride, e genero del boss Giuseppe Morabito, detto ‘u Tiradrittu.
Il blitz è scattato all’alba. La Direzione distrettuale antimafia ha stroncato le cosche Morabito e Aquino. Oltre al “Tiradrittu”, infatti, è stato arrestato il boss Rocco Aquino. Associazione mafiosa e riciclaggio le accuse principali contestate agli arrestati nell’ambito dell’inchiesta che ha portato al sequestro di disponibilità finanziarie, società ed immobili per 450 milioni di euro. I sigilli sono stati applicati a 12 imprese e 17 villaggi turistici realizzati in Calabria dalla ‘ndrangheta.
In particolare, il procuratore aggiunto di Reggio Nicola Gratteri e i sostituti Maria Luisa Miranda e Paolo Sirleo hanno svelato come le cosche Morabito e Aquino si erano fatti promotori di una joint-venture con imprenditori spagnoli e l’organizzazione terroristica irlandese Ira. Nell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, compare anche Henry James Fitzsimons, un soggetto considerato dagli inquirenti britannici vicino all’Ira il quale aveva trovato proprio nel rapporto con le organizzazioni criminali calabresi il modo per reimpiegare le ingenti somme di denaro in suo possesso, grazie all’intermediazione di un noto imprenditore campano, Antonio Velardo. Stando alla ricostruzione della magistratura, l’esponente dell’Ira è stato delegato dall’organizzazione nordirlandese per operazioni di riciclaggio.
Le indagini della Dda hanno accertato come la ‘ndrangheta cercasse il consenso della popolazione. Consenso che le cosche conquistavano assumendo maestranze locali e tentando di creare, dove venivano realizzati i villaggi, un indotto commerciale turistico. Sessanta le perquisizioni ancora in corso tra Calabria, Sicilia, Campania e Lazio. Ma anche in Inghilterra e Spagna. Il giro di società e i collegamenti della ‘ndrangheta, secondo gli inquirenti, si spingevano fino a Londra e ad Alicante.
Le cosche Morabito e Aquino, infatti, avevano messo in piedi una complessa rete di società italiane ed estere attraverso la quale sarebbero riusciti a garantirsi la gestione, il controllo e la realizzazione di decine di importanti e noti complessi immobiliari turistico-residenziali calabresi.
Tutti gli investimenti delle cosche della Locride farebbero capo a un “centro d’interesse occulto”. La “filiera societaria italo-spagnola” ha portato la Dda a scoprire gli investimenti milionari dei Morabito e degli Aquino che, attraverso l’indiscusso potere sul territorio, avevano sostanzialmente monopolizzato il settore dei villaggi turistici, potendo contare anche sulla totale “disponibilità” di infedeli funzionari comunali.
Lo hanno definito un nuovo modo di “fare mafia”. Un salto di qualità per le cosche della Locride e per gli imprenditori “amici”. La ‘ndrangheta diventa sempre più una vera e propria holding criminale capace di sfruttare l’economia apparentemente “legale” e a trarre ingiusti ed illeciti profitti e vantaggi, attraverso un controllo, quasi totale, del territorio di competenza. Ma soprattutto, l’operazione di oggi, denominata “Metropolis”, dimostra come le cosche hanno raggiunto un’efficienza economica, finanziaria e operativa a livello mondiale.
Non si tratta solo della capacità imprenditoriale dei boss. E’qualcosa di più secondo il gip Massimo Minniti che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. «Le indagini – scrive il magistrato – hanno messo in luce che è stato il risultato del connubio tra l’adduzione di ingenti capitali dall’estero e, soprattutto, la capacità delle organizzazioni criminali di ‘governare’ e controllare il territorio garantendo(si) l’acquisizione dei terreni e il conseguimento, quantomeno senza ostacoli e con iter amministrativi preferenziali e ‘privilegiati’, dei necessari permessi amministrativi per poter avviare e portare avanti le attività».
«Invero, – continua il gip – la forza motrice del fenomeno economico osservato, che ha subito evidenti condizionamenti dall’inaspettata crisi finanziaria globale, è stata non tanto l’arrivo del denaro ‘contante’ dalla Spagna, quanto il sostanziale “accordo” tra coloro che sono stati portatori delle capacità di sviluppare gli investimenti, garantendo la vendita degli immobili all’estero con una certa celerità, e gli esponenti della criminalità organizzata locale che hanno sostanzialmente monopolizzato il settore, garantendo (grazie alla propria forza criminale) solo a determinati (compiacenti) soggetti, ed a determinate condizioni, la possibilità di poter partecipare alla realizzazione dei complessi immobiliari”.
Per la maggior parte di questi ultimi, “i finanziamenti sono pervenuti dalle società spagnole “Fausdom S.L.” e “Italia Connectiom Properties S.L.” nonché dalla società italiana “Bella Calabria 2005 S.r.l.”, per il complesso immobiliare “Gioiello del mare” i capitali esterni sono stati forniti dalla società irlandese V.F.I. Overseas Property e, comunque, dai soci della stessa, cioè Fitzsimons Henry e Velardo Antonio».
Fitsimons, l’uomo dell’Ira, non figura tra gli arrestati. “Il problema è che l’uomo non può essere arrestato perché all’estero, in un Paese in cui non è eseguibile il provvedimento a suo carico”, commenta Sonia Alfano, presidente della Commissione Antimafia Europea. “E’ l’esempio perfetto della difficoltà con cui nei 27 Paesi membri dell’Unione europea va avanti la lotta contro le mafie. Bisogna giungere all’approvazione di un testo unico antimafia che, in casi come questo, consenta alla magistratura e alle forze dell’ordine transnazionali di agire in maniera efficace”.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
La sentenza n. 5547/2014 della Corte di Cassazione ha accolto le richieste dell’Ing. Antonio Velardo contro la iniziale misura cautelare e l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria dell’8-9.4.2014 ha provveduto, in sede di rinvio, a tale annullamento: entrambi i provvedimenti hanno del tutto smentito, con approfondita motivazione, l’ipotesi accusatoria dei P.M., hanno cioè dato atto dell’assenza di “gravi indizi” a carico dell’Ing. Antonio Velardo.
Il processo si è poi concluso con la sentenza n. 79 del 29 gennaio 2016 del Tribunale di Locri che, su espressa richiesta della pubblica accusa, ha assolto da tutte le imputazioni l’Ing. Velardo, “per non aver commesso il fatto”: i giudici, con motivazione ammontante a quasi 400 pagine, hanno infatti completamente e definitivamente escluso il coinvolgimento dell’Ing. Antonio Velardo in affari con i clan e/o in fattispecie di riciclaggio, “auto riciclaggio” o di “impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita” (art. 648-ter cod. pen.), di cui al capo di imputazione.
Nei confronti della sentenza non è stato proposto appello e la stessa è passata in cosa giudicata.
Studio legale associato avv. Antonio Scotti Galletta