Fuori le lesbiche dal calcio: a loro sarà proibito giocare con la maglia della nazionale. E sarà inoltre avviata un’inchiesta in collaborazione con le società, per scovarle in ogni spogliatoio e per espellerle anche dal campionato. L’annuncio shock arriva dalla Nigeria, dove Dilichukwu Onyedinma – presidentessa della Lega calcio femminile e membro del comitato esecutivo della federcalcio nigeriana – ha dichiarato martedì mattina a margine dell’assemblea generale: “L’omosessualità è da oggi ufficialmente proibita nel calcio nigeriano. Qualsiasi calciatrice che sarà ritenuta colpevole di tale attitudine o atteggiamento sarà estromessa dalla nazionale e da tutte le competizioni ufficiali”. Citando poi al quotidiano locale Premium Times alcuni passi della Bibbia che condannano l’omosessualità, ha aggiunto: “Ci accorderemo con i presidenti e i dirigenti dei club per controllare il comportamento delle tesserate, e lavoreremo insieme per fare sì che non possano più giocare”.
“Ovviamente sarà compito di ogni singolo club prendere i provvedimenti nei confronti delle loro tesserate. La federazione può solo fare in modo che non possano più vestire la maglia della nazionale – ha spiegato Onyedinma – Il lesbismo è diffuso nel nostro sport, ma so che ci sono molte società che non vogliono nemmeno sentirne parlare, e se venissero a conoscenza di tale attitudine nel loro spogliatoio non esiterebbero a licenziare immediatamente le persone coinvolte”. Questa chiamata alla pulizia etnica è solo l’ultimo di una serie di violenze che colpiscono quotidianamente la comunità LGTB nigeriana, da sempre sottoposta a discriminazioni, angherie e soprusi di ogni sorta. Per chi è scoperto a fare l’amore con una persona dello stesso sesso la pena arriva fino alla condanna a morte, anche se l’ultima è stata nel 1987.
In alcune zone del nord a maggioranza musulmana l’omosessualità e punita con la morte per lapidazione, mentre negli stati del sud cristiani il massimo della pena è di 14 anni di carcere. Nel paese non c’è ovviamente alcuna legge che equipari l’omofobia al razzismo, o che tuteli la comunità LGTB. Ha quindi fatto sorridere, se non fosse per la sua tragicità, una legge del 2008 che proibiva il matrimonio tra persone dello stesso sesso in un paese che, come ha spiegato la scrittrice Unoma Azuah, già considera l’omosessualità reato. E in questo brodo di coltura persecutorio, dove secondo un sondaggio dell’Information for Sexual and Reproductive Rights solo meno del 2% della popolazione si definisce tollerante nei confronti dell’omosessualità, non fa ovviamente eccezione il calcio.
Già due anni fa l’allora direttore tecnico della nazionale Sir James Peters dichiarò: “Quando sono stato chiamato a lavorare per la nazionale ho subito escluso dal giro alcune giocatrici, non perché non fossero brave ma perché erano lesbiche”. Mentre di recente l’allenatrice della nazionale femminile nigeriana Eucharia Uche ha dichiarato, salvo poi smentire qualche giorno dopo: “Abbiamo finalmente visto i risultati dei nostri sforzi, e posso ora comunicarvi che l’omosessualità è un ricordo del passato nelle Super Aquile (il soprannome della nazionale nigeriana ndr.)”. La Fifa, che nel suo regolamento vieta ogni tipo di discriminazione, allora fece sapere che avrebbe discusso della cosa con la signora Uche. Oggi però si è andati ben oltre le semplici parole, e anche alla Fifa è richiesto di intervenire urgentemente con dei fatti.