Bisognerà attendere giovedì 14 marzo per capire se i 950 operai dello stabilimento Bridgestone di Bari, dovranno andare a casa oppure avranno qualche speranza di salvare il proprio posto di lavoro. Per quella data, infatti, è stato convocato un incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico, al quale prenderanno parte anche i rappresentanti del ministero del Lavoro, della Regione Puglia, del Comune di Bari e delle organizzazioni sindacali.

La posizione del governo è chiara. “La chiusura dello stabilimento è grave e immotivata”. Lo ha scritto il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera in una lettera al CEO della casa madre giapponese, Masaaki Tsuya. Il responsabile del dicastero nella missiva non ha mancato di sottolineare come, “sulla volontà di chiudere lo stabilimento pugliese, il Gruppo Bridgestone avrebbe dovuto discutere e confrontarsi con il governo e con le istituzioni competenti così da permettere l’individuazione di soluzioni diverse da quella comunicata”. Di qui la richiesta, in tempi strettissimi, di comunicare qualsiasi altra decisione e soprattutto di fornire tutti i chiarimenti richiesti.

Da quando tre giorni fa la multinazionale ha comunicato la decisione di chiudere la sede barese, le istituzioni si sono mobilitate per fare il possibile per evitare l’abbattersi in Puglia dell’ennesima vertenza occupazionale. La proposta più forte è arrivata dal sindaco di Bari. “Nel caso in cui il sindacato dovesse decidere per forme di lotta più incisive, come l’occupazione dello stabilimento – ha detto Michele Emiliano – la città e il sindaco in persona saranno dalla parte degli operai e occuperanno la fabbrica”. Il governatore della Puglia, Nichi Vendola, invece, ha contestato le modalità con cui l’azienda ha informato i lavoratori della decisione assunta. “Abbandonare il campo senza avvisare è un atteggiamento che manifesta arroganza e violenza inaccettabili”.

Primi tentativi di mediazione ci sono stati. A Bari il presidente di Confindustria Puglia, Angelo Bozzetto, ha tentato di parlare con i manager aziendali. In quell’occasione l’amministratore delegato Roberto Mauro, ha tenuto a precisare che “prima dell’incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico, non saranno avviate procedure di riduzione di personale né trasferimento di macchinari e stampi”. Ma al termine del vertice, il parere di Bozzetto è stato chiaro. “Qui non stanno scappando perché hanno preso il malloppo. Stanno scappando via perché non ci sono più le convenienze economiche. Ed è su questo punto che ci dobbiamo confrontare”.

La decisione della multinazionale giapponese è arrivata come una doccia fredda tre giorni fa. Lunedì il management ha comunicato agli operai la scelta tramite una videoconferenza. Per chi c’era. Gli altri lo hanno saputo con il tam tam sui social network . Nulla era immaginabile fino a cinque minuti prima della comunicazione ufficiale. Qualche piccolo segnale di crisi c’era anche stato, ma non certo di questa portata. “Si c’è stata una contrazione del mercato” dice un lavoratore. “Ma c’erano utili e numeri. Nessuno ci ha mai detto che la vitalità poteva essere breve”. “La filosofia giapponese ci ha sempre inculcato la lealtà. E ora proprio loro sono i primi a tradirci”, dice un altro.

Le spiegazioni rese dal colosso sono quelle classiche. Calo della domanda, concorrenza dei Paesi emergenti, costi troppo alti, cambiamenti avvenuti nell’ultimo biennio nel mercato degli pneumatici. Di qui la necessità di accelerare lo spostamento strategico della propria produzione verso il segmento degli pneumatici di alta gamma. E lo stabilimento di Bari, è focalizzato su quelli di uso generico. “Bridgestone ha aperto una fabbrica a Poznan, in Polonia – fa notare un operaio – e da due mesi i nostri stampi sono già stati portati fuori per l’esternalizzazione e i minori costi”. A Bari i cancelli del colosso nipponico chiuderanno non più tardi della prima metà del 2014. E l’elenco della mortalità delle aziende si allunga paurosamente.

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