Se le donne sono come i panda del Sichuan, una specie in via di estinzione, allora chiedo scusa e ritiro, fin da adesso, tutto quello che scriverò in questo post.
Se invece, come credo, di tutto hanno bisogno le donne fuorché di tutele in stile Wwf, allora l’8 marzo non serve. È una festa maschilista, autoassolutoria e anacronistica. E le donne che domani ululeranno alla Luna di fronte a gonfi e unti spogliarellisti sono complici di questo scempio.
Di cosa ha bisogno la donna, oggi? Di una giornata preconfezionata, disseminata di orrenda e maleodorante mimosa e condita da maratone tv di film “rosa”? O piuttosto della parità di opportunità per giocarsela viso a viso con l’uomo di turno in ogni campo della vita quotidiana?
Se qualcuno crede che l’8 marzo serva davvero a qualcosa, è ingenuo o in malafede. Perché da dopodomani all’8 marzo del prossimo anno, niente cambierà, niente verrà fatto. Tanto poi arriva il giorno dei giorni, con il capo ufficio che regala alle dipendenti il rametto di mimosa con la stagnola accartocciata e un nastrino rosa squallido. Quello stesso capoufficio che, mentre porgerà l’orrido omaggio floreale, lancerà un’occhiata al culo della malcapitata. Alla faccia della festa della donna.
E allora, care donne, domani sbattete in faccia all’uomo di turno quelle puzzose palline gialle. E se siete sfacciate al punto giusto, ditegli di mettersela dove non batte il sole. Perché di queste celebrazioni pelose da specie in via di estinzione non sapete davvero che farvene. Non ora. Non più.