Per il generale statunitense David Petraeus la parabola discendente continua. Un’inchiesta del quotidiano britannico The Guardian sembra inchiodarlo: sapeva delle torture subite dai prigionieri nei centri di detenzione in Iraq. Il legame che inguaia l’ex capo della Cia, secondo l’inchiesta, è quello con il colonnello James H. Coffman. E’ il giugno del 2004. La situazione per le truppe Usa, che hanno invaso il Paese l’anno prima, è pessima. L’esercito iracheno è stato spazzato via in pochi mesi, ma la resistenza armata è radicata e aggressiva. Il Pentagono è in difficoltà e imputa al ‘proconsole’ Usa in Iraq, Paul Bremer III, l’incapacità di gestire la transizione.
L’amministrazione Bush decide di ricorrere al generale David Petraeus, affidandogli carta bianca per fermare l’insurrezione. L’idea è che l’errore commesso è stato quello di estromettere i sunniti dal potere, fomentando una guerriglia che si nutre anche di volontari da tutto il mondo islamico, molti dei quali sono ritenuti legati ad al-Qaeda. Petraeus, da subito, piace a tutti. In patria, oltre ai suoi sponsor repubblicani, lo apprezzano i democratici, perché promette un approccio soft alla questione. La stampa, anche in Europa, lo definisce un ‘uomo del dialogo’.
La strategia di Petraeus è semplice: con i leader tribali sunniti si tratta e, nei casi dove i miliziani fondamentalisti, magari stranieri, hanno posto radici e imposto la sharia, si appalta il lavoro sporco di controguerriglia in cambio di denaro e promesse di coinvolgimento nei futuri assetti del Paese. Il vantaggio è notevole: meno vittime tra i militari Usa, meno attentati per i civili iracheni. Sembra una svolta rispetto all’approccio duro di Bush e Rumsfeld. Solo che gli interrogatori dei sospetti, nei centri di detenzione dei quali il generale Petraeus aveva la responsabilità, si affidano sistematicamente alla tortura.
L’ottenimento delle informazioni, secondo il Guardian, è affidato a due colonnelli Usa. Il primo è Coffman, il secondo è James Steele, personaggio controverso che pur criticando in pubblico i metodi che violano i diritti umani, ha un passato torbido e risulta coinvolto in tutte le ‘guerre sporche’ Usa degli ultimi trenta anni, dal Nicaragua a El Salvador. Coffman, che si definiva “occhi e orecchie di Petraeus”, risulta presente in tante occasioni nelle quali prigionieri iracheni, che hanno iniziato a raccontare le violenze subite anche in una trasmissione televisiva molto seguita in Iraq, sono stati torturati.
Il generale iracheno Muntadher al-Samari, che per un anno ha lavorato con Coffman e Steele all’addestramento delle truppe irachene, ora li accusa: “Lavoravano mano nella mano. Li vedevo nei centri di tortura, sempre rigorosamente insieme, e loro erano al corrente di ogni minima cosa succedesse al loro interno e di tutte le torture, anche le più terribili”. Se loro erano al corrente, lo era anche Petraeus, che secondo l’inchiesta era il vertice della catena di comando delle scelte che venivano fatte per ogni singolo team di interrogatori che operava in ogni centro di detenzione sul territorio iracheno.
Adesso bisogna aspettare le decisioni del governo iracheno, che potrebbe aprire un’inchiesta, o eventuali azioni collettive da parte di cittadini iracheni, come sta accadendo in Gran Bretagna, per portare alla sbarra i torturatori. Nessuno dei diretti interessati, per ora, commenta. Questo scandalo rende sempre più isolato Petraeus, per il quale si era addirittura parlato di una candidatura alla Casa Bianca contro Obama. Dopo l’Iraq, infatti, la sua carriera é stata fulminante, passando per il comando in Afghanistan e per la direzione della Cia. Uno scandalo sessuale l’ha tagliato fuori dalla carriera politica, compromettendone il futuro, ma questa inchiesta rischia di mettere in discussione anche il suo passato.
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Petraeus, nuove ombre. The Guardian: “Sapeva delle torture ai prigionieri in Iraq”
Il legame che inguaia l’ex capo della Cia, secondo l’inchiesta del quotidiano inglese, è quello con il colonnello James H. Coffman, presente in tante occasioni nelle quali prigionieri iracheni, che hanno iniziato a raccontare le violenze subite anche in tv, sono stati torturati
Per il generale statunitense David Petraeus la parabola discendente continua. Un’inchiesta del quotidiano britannico The Guardian sembra inchiodarlo: sapeva delle torture subite dai prigionieri nei centri di detenzione in Iraq. Il legame che inguaia l’ex capo della Cia, secondo l’inchiesta, è quello con il colonnello James H. Coffman. E’ il giugno del 2004. La situazione per le truppe Usa, che hanno invaso il Paese l’anno prima, è pessima. L’esercito iracheno è stato spazzato via in pochi mesi, ma la resistenza armata è radicata e aggressiva. Il Pentagono è in difficoltà e imputa al ‘proconsole’ Usa in Iraq, Paul Bremer III, l’incapacità di gestire la transizione.
L’amministrazione Bush decide di ricorrere al generale David Petraeus, affidandogli carta bianca per fermare l’insurrezione. L’idea è che l’errore commesso è stato quello di estromettere i sunniti dal potere, fomentando una guerriglia che si nutre anche di volontari da tutto il mondo islamico, molti dei quali sono ritenuti legati ad al-Qaeda. Petraeus, da subito, piace a tutti. In patria, oltre ai suoi sponsor repubblicani, lo apprezzano i democratici, perché promette un approccio soft alla questione. La stampa, anche in Europa, lo definisce un ‘uomo del dialogo’.
La strategia di Petraeus è semplice: con i leader tribali sunniti si tratta e, nei casi dove i miliziani fondamentalisti, magari stranieri, hanno posto radici e imposto la sharia, si appalta il lavoro sporco di controguerriglia in cambio di denaro e promesse di coinvolgimento nei futuri assetti del Paese. Il vantaggio è notevole: meno vittime tra i militari Usa, meno attentati per i civili iracheni. Sembra una svolta rispetto all’approccio duro di Bush e Rumsfeld. Solo che gli interrogatori dei sospetti, nei centri di detenzione dei quali il generale Petraeus aveva la responsabilità, si affidano sistematicamente alla tortura.
L’ottenimento delle informazioni, secondo il Guardian, è affidato a due colonnelli Usa. Il primo è Coffman, il secondo è James Steele, personaggio controverso che pur criticando in pubblico i metodi che violano i diritti umani, ha un passato torbido e risulta coinvolto in tutte le ‘guerre sporche’ Usa degli ultimi trenta anni, dal Nicaragua a El Salvador. Coffman, che si definiva “occhi e orecchie di Petraeus”, risulta presente in tante occasioni nelle quali prigionieri iracheni, che hanno iniziato a raccontare le violenze subite anche in una trasmissione televisiva molto seguita in Iraq, sono stati torturati.
Il generale iracheno Muntadher al-Samari, che per un anno ha lavorato con Coffman e Steele all’addestramento delle truppe irachene, ora li accusa: “Lavoravano mano nella mano. Li vedevo nei centri di tortura, sempre rigorosamente insieme, e loro erano al corrente di ogni minima cosa succedesse al loro interno e di tutte le torture, anche le più terribili”. Se loro erano al corrente, lo era anche Petraeus, che secondo l’inchiesta era il vertice della catena di comando delle scelte che venivano fatte per ogni singolo team di interrogatori che operava in ogni centro di detenzione sul territorio iracheno.
Adesso bisogna aspettare le decisioni del governo iracheno, che potrebbe aprire un’inchiesta, o eventuali azioni collettive da parte di cittadini iracheni, come sta accadendo in Gran Bretagna, per portare alla sbarra i torturatori. Nessuno dei diretti interessati, per ora, commenta. Questo scandalo rende sempre più isolato Petraeus, per il quale si era addirittura parlato di una candidatura alla Casa Bianca contro Obama. Dopo l’Iraq, infatti, la sua carriera é stata fulminante, passando per il comando in Afghanistan e per la direzione della Cia. Uno scandalo sessuale l’ha tagliato fuori dalla carriera politica, compromettendone il futuro, ma questa inchiesta rischia di mettere in discussione anche il suo passato.
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Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.