Una cosa che si rimprovera molto spesso a chi amministra le nostre città è la mancanza di lungimiranza e di visione. Per capire in che direzione stiamo andando ho pensato di chiederlo direttamente agli assessori alla mobilità di tre grandi città (Milano, Torino, Napoli) e di tre città di medie dimensioni (Reggio Emilia, Parma, Trento). La domanda era una sola e semplicissima: “qual è il futuro dell’automobile nelle città italiane?”
Le risposte le ho riassunte nel breve video che segue e credo che siano particolarmente illuminanti.
Riassumendo, che ci piaccia o meno, i nostri amministratori sembrano intenzionati a bandire le automobili private dalle nostre città.
Ma se da un lato questa situazione aumenterebbe i livelli di vivibilità, allo stesso tempo creerebbe non pochi problemi da un punto di vista economico: per molto tempo in Italia quella dell’auto è stata definita l’industria delle industrie giacché il settore automotive contribuisce al Pil italiano per l’11,4% e fino a qualche anno fa l’intera filiera offriva lavoro a 1,2 milioni di italiani. Oggi le cose stanno in maniera ben diversa: il mercato dell’auto ha collezionato il diciannovesimo segno negativo a due cifre consecutivo (siamo ai livelli di vendita del 1979) e sono già 200 mila i posti di lavoro persi nel settore dal 2008 ad oggi.
Un modo per interrompere questo trend negativo è stato individuata da Loris Campetti nel suo articolo dal titolo “Indotto, la vita oltre la Fiat”, pubblicato sull’ultimo numero della rivista iMec: “la chiave per non farsi macinare dalla crisi sta nella diversificazione del portafoglio ordini: meno si dipende dalla Fiat e più si ha speranza di successo. O almeno di sopravvivenza.”.
Differenziare gli ordini significa fare in modo che chi produce bulloni e minuterie, ruote e freni possa vendere i propri prodotti anche al di fuori del mondo dell’automobile, ovvero a tutti coloro che offrono sistemi di mobilità comunque intesa, ma per farlo occorre un opportuno sostegno all’offerta.
Al momento il 71% delle risorse pubbliche allocate ai trasporti e alle relative infrastrutture vengono destinate a strade e autostrade, mentre il restante 29% va alle reti ferroviarie e metropolitane. Il risultato di questa politica è sotto gli occhi di tutti: smantellamento delle tratte locali del servizio ferroviario perché meno remunerative , crescente sovraffollamento e obsolescenza dei mezzi pubblici, dipendenza indotta dall’automobile anche per gli spostamenti in città e quindi aumento del traffico, proliferazione di grandi opere che favoriscono esclusivamente i grandi speculatori e le infiltrazioni mafiose.
A questo punto basta fare uno più uno: se vogliamo risollevare il settore metalmeccanico l’unica soluzione è invertire queste percentuali. Così facendo, potremo beneficiare di altri numerosi effetti collaterali: creazione di posti di lavoro, aria pulita e più spazio nelle nostre città, maggiore equità sociale e un generale miglioramento la qualità della nostra vita.
Sabato 4 maggio a Milano si terrà una manifestazione nazionale per chiedere di ribaltare i termini dell’allocazione di risorse pubbliche. Partecipare è un dovere civico.
Ci vediamo lì.