La decisione comunicata dal gup di Palermo Piergiorgio Morosini, che però critica il lavoro della Procura nell'indagine coordinata da Ingroia: "Materiale non intellegibile". Andranno a processo ex ufficiali del Ros, capimafia, Massimo Ciancimino, l’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino: "Io innocente, processo rapido"
Il Gup di Palermo Piergiorgio Morosini ha rinviato a giudizio dieci imputati per la trattativa Stato-mafia. Tra loro, ex ufficiali del Ros, capimafia, Massimo Ciancimino, l’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. La decisione è stata comunicata poco fa in una delle aule della Corte di Assise a palazzo di giustizia, presenti i pubblici ministeri Teresi, Del Bene, Sava e Tartaglia. Unico tra gli imputati ad ascoltare il verdetto in aula, Massimo Ciacimino. Tra le parti civili, c’era Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso nella strage di via D’Amelio, che si è costituito con il suo movimento Agende rosse.
Il processo si aprirà il 27 maggio davanti alla seconda sezione della Corte di Assise di Palermo. Nel pronunciare la decisione, il Gup ha irritualmente letto sue considerazioni circa l’indagine, criticandone la conduzione e sottolineando che per molti aspetti è stato necessario svolgere integrazioni probatorie durante l’udienza preliminare. La Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio degli imputati lo scorso 10 gennaio.
Il giudice bacchetta il lavoro della Procura, ma pm: “Giudice terzo preparato e rigoroso”. Nel suo provvedimento, però, il giudice Morosini attacca il lavoro dei pm dell’indagine coordinata da Antonio Ingroia: “Il materiale acquisito non è pervenuto al giudice in forma organica per singole posizioni processuali in maniera intelleggibile“. E ancora: “La memoria che è stata prodotta il 5 novembre dalla Procura non affronta il tema delle fonti di prova”. Il Gup ha emesso un “decreto di scomposizione dei fatti e indicazione analitica delle fonti di prova”, messe a disposizione delle parti. “Quella di oggi è la decisione di un giudice terzo particolarmente preparato e rigoroso: questo costituisce la riprova che molte critiche mosse all’indagine erano preconcette e, a volte, in malafede – dice il pm Nino Di Matteo – La decisione di oggi è per noi uno stimolo ulteriore ad approfondire anche tutti i temi di indagine residui a carico di altre persone collegati all’inchiesta sulle stragi mafiose e sul periodo relativo al passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Le indagini proseguiranno”.
Mancino: “Io sono innocente, processo rapido”. “Chiedo un processo rapido che dimostri la mia innocenza – afferma Nicola Mancino – Il giudice si è preoccupato di non smontare il teorema dell’accusa. Ritengo che il giudice dell’udienza preliminare di Palermo si sia preoccupato di non smontare il teorema dell’accusa sulla conoscenza da parte mia, trascrivo integralmente, dei ‘contatti intrapresi da esponenti delle Istituzioni con Vito Ciancimino e per il tramite di questi con esponenti di Cosa nostra e, perciò, abbia accolto la richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza formulata dal pubblico ministero. Non condivido la decisione – ha proseguito -: sono certo che le prove da me fornite all’udienza preliminare sulla mia totale estraneità ai fatti contestatimi saranno accolte dal Tribunale in un dibattimento, che spero si concluda in tempi brevi”.
”Riteniamo che questo rinvio a giudizio, che dispone nuovo processo a carico di Marcello Dell’Utri, sia un inutile spreco di energie e denaro” dicono gli avvocati Giuseppe Di Peri e Pietro Federico, difensori dell’ex senatore Marcello Dell’Utri. “Noi avevamo prodotto una sentenza definitiva della Cassazione che esclude l’esistenza di condotte illecite e di qualunque contiguità mafiosa del nostro assistito dopo il 1992. Il processo che si farà e si concluderà con un’assoluzione costituisce, dunque, un inutile duplicazione”.
Ingroia: “Sono soddisfatto, rinvio a giudizio pone fine a maldicenze” – “Sono molto soddisfatto dell’esito dell’udienza preliminare di Palermo che conferma integralmente l’impostazione che io e il pool da me coordinato avevamo ricostruito nel corso di questi lunghi anni di indagine. Finalmente questa decisione di un giudice terzo, di grande competenza e autorevolezza pone la parola fine a tutte le maldicenze e accuse infamanti piovute addosso ai pm della procura di Palermo senza che noi potessimo replicare. Quel che è certo è che le istituzioni politiche non hanno fatto la loro parte per accertare la verità”. Lo ha detto all’Agi Antonio Ingroia, attuale leader di Rivoluzione civile, che da procuratore aggiunto aveva coordinato l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
La tesi dell’accusa: patto tra Stato e Cosa Nostra per fermare le stragi. La Procura di Palermo aveva passato in rassegna tutti gli elementi raccolti nell’indagine condotta dalla procura di Palermo negli ultimi anni: dall’uccisione dell’europarlamentare Salvo Lima, primo atto di guerra di Cosa Nostra allo Stato, fino all’incarico di contattare Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri che l’ex stalliere di Arcore Vittorio Mangano avrebbe ricevuto da Leoluca Bagarella. È a quel punto che, secondo gli inquirenti, si sarebbe siglato un nuovo patto tra la mafia e lo Stato. Insieme a Bagarella, sono imputati per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato anche i boss Totò Riina e Antonino Cinà, considerato il “postino” del papello, il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, autore secondo i pm del primo input per aprire un contatto con Cosa Nostra, il senatore del Pdl Dell’Utri e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato soltanto di falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo Mori-Obinu del febbraio scorso. Alla sbarra anche tre alti ufficiali dei carabinieri: i generali Mario Mori e Antonio Subranni e l’ex colonnello Giuseppe De Donno. Oggetto della trattativa sarebbe poi divenuto l’alleggerimento del 41 bis, obiettivo che si sarebbe realizzato nel novembre del 1993, quando l’allora guardasigilli Giovanni Conso non rinnovò oltre 300 provvedimenti di carcere duro a detenuti mafiosi. Ed è proprio per proseguire la trattativa che, secondo il pm, i carabinieri del Ros non arrestarono deliberatamente il boss Nitto Santapaola, “intercettato nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto senza che ne venissero informati i magistrati”. La posizione del boss Bernardo Provenzano è stata stralciata per motivi di salute.