Da quando mi occupo di violenza e di questioni di genere, ho cominciato a nutrire un certo disagio nel relazionarmi con l’otto marzo, data scelta come “Giornata internazionale della donna” comunemente definita “Festa della donna”.
Userò volutamente l’espressione “Festa della donna” e non “Giornata internazionale della donna” per sottolineare come, nell’immaginario comune, questa sia spesso percepita appunto come una festa (mimose e serate rigorosamente tra donne per fare gli esempi più significativi) e non come un reale e intenso momento di riflessione sulle condizioni passate e attuali della donna.
Domanda: “Perché c’è bisogno di una festa della donna?”
Risposta: “Perché la donna ha dovuto, troppo spesso, accontentarsi di un ruolo subalterno all’uomo. Ha dovuto subire angherie, soprusi, violenze: l’essere femmina l’ha costretta a limitarsi e a non esprimersi al meglio perché la società (maschile) non glielo ha permesso”.
Non che voglia affermare che la donna sia una santa e l’uomo un poco di buono: in entrambi i sessi risiedono virtù e debolezze proprie della natura umana. L’uomo, però, ha sicuramente approfittato di una situazione di vantaggio fisico per poi creare e sostenere una cultura e una società che lo ha privilegiato e lo privilegia in molti (non in tutti) i campi.
La domanda è legittima e anche la risposta è corretta. Non mi basta, provo ad andare oltre.
Domanda: “Perché non esiste una festa dell’uomo?”
Risposta: “Perché in realtà la festa dell’uomo già esiste, solo che dura 364 giorni l’anno e non necessita, per rimanere in vigore, di alcuna celebrazione esplicita. L’uomo ha sempre goduto e gode tutt’ora (nonostante i tempi cambino e molte cose migliorino) di maggiori vantaggi sociali e culturali”.
Non voglio andare contro il mio stesso sesso, come a volte vengo semplicisticamente tacciato di fare, quello che voglio è creare ponti tra i generi, non fratture. Per farlo bisogna anche necessariamente andare oltre il pensare comune e guardare alle riflessioni che ne nascono. Appartengo al genere maschile, ciò non mi esime dall’osservarlo e cercare di capirne le criticità. Nello stesso tempo, non appartengo al genere femminile e non ho la pretesa di comprenderlo sempre e comunque.
Per dire qualcosa rivolgendomi al genere femminile che possa avere, per me, un senso oggi, 8 marzo, potrei esprimermi esclusivamente in questi termini:
“Non ho alcuna intenzione di regalarvi una mimosa o farvi degli auguri solo perché appartenenti a un genere che non è il mio. Non celebro la “normalità della diversità”, non ne sento il bisogno. Se è la società a sentire questa necessità, visto che il mio obbiettivo è modificare e cambiare certi atteggiamenti e comportamenti propri della società, sento la necessità di mettere in discussione proprio i suoi costrutti più radicati. Oggi non ho bisogno di comportarmi diversamente da come faccio il resto dell’anno.
Non ho bisogno di un giorno specifico per ricordarmi le attenzioni di cui vi abbiamo privato o i soprusi a cui vi abbiamo sottoposte: le volte che vi siamo passati davanti solo perché uomini, le volte che avete avuto delle difficoltà lavorative perché aspettavate un figlio o solo perché donne, le volte che tette e culi hanno rappresentato il “meglio del femminile” sui mass media, le volte che i vostri padri non vi hanno concesso le stesse libertà che concedevano ai vostri fratelli, le volte che il ruolo di casalinga vi è stato prospettato come la vostra possibile massima aspirazione, le volte che non vi siete sentite sicure in strada, le volte che alcuni di noi vi hanno molestato, fatto scontare il prezzo di una gelosia ossessiva, picchiato, stuprato. Ho bisogno di tutti gli altri 364 giorni per ricordarmelo, nessuno escluso.
Sono sicuro che voi non siate esenti da difetti e so che avete le vostre criticità nel relazionarvi con noi, anche se questo non deve giustificarci dal non valorizzare le nostre differenze invece di farcene un’accusa reciproca, come sovente accade. Non voglio lavorare per un rapporto tra noi privo di tensioni, di scontri e di incomprensioni, non sarebbe umano, ma voglio imparare quotidianamente a tenere fuori da tutto questo atteggiamenti e comportamenti aggressivi, prevaricanti o violenti e a capire in tempo quando si passa il limite”.
Non ha senso che il 9 marzo ci trovi come ci aveva lasciato il 7 marzo solo perché c’è stato un 8 marzo di mezzo.
Il mio impegno va nella direzione di poter arrivare a un momento in cui non sarà più necessario dover celebrare in un giorno specifico l’essere donna. Sono sicuro che, quando questo momento arriverà, significherà che i pari diritti e le pari opportunità saranno la “normalità”. Per ora di festeggiare questa “normalità” non me la sento.
di Mario De Maglie