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Francia, polemica sull’abolizione dei vantaggi fiscali al diesel. Governo diviso

Per la Corte dei Conti "il regime derogatorio deve essere cancellato". L'esecutivo non sa se tassare di più il gasolio perché inquinante o lasciare il vantaggio in virtù della grande produzione dei colossi automobilistici

Migliorare la salute o preservare l’occupazione? E’ l’eterno dilemma che attraversa tanti dibattiti di tipo ambientale. E che si sta riproponendo in questi giorni in Francia nella “battaglia del diesel”. Il dilemma è: tassare di più il gasolio, perché inquinante, o lasciare a quel carburante il vantaggio fiscale competitivo di cui beneficia in nome della grossa produzione di motori diesel che avviene in Francia? Il dibattito, ad alto contenuto polemico, divide al suo interno anche il Governo del socialista Jean-Marc Ayrault.

A discuterne a Parigi si era già iniziato nel luglio 2012, quando l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) aveva classificato il diesel come ‘cancerogeno’, nella misura in cui contribuisce sensibilmente all’inquinamento legato alle polveri sottili. Ma il dibattito è ritornato d’attualità negli ultimi giorni a causa di un rapporto, appena ultimato, della Corte dei Conti, che ha affrontato la questione da un punto di vista puramente contabile. Ed è comunque arrivata alla conclusione che “il regime fiscale derogatorio cui è sottoposto il diesel, anche se progressivamente, deve essere abolito”. In Francia per ogni litro di benzina (Sp98) si pagano 61 centesimi di tasse e, invece, appena 43 per un litro di diesel. Il prezzo finale è, al momento attuale, in media di 1,65 euro al litro per la benzina contro 1,41 per il gasolio. E’ il risultato di una politica governativa, che risale agli anni Sessanta. Allora Parigi decise di puntare sulle centrali nucleari per l’approvvigionamento energetico. Molti francesi iniziarono a convertire il riscaldamento in casa all’elettricità.

E importanti stock di gasolio prodotto nel Paese si ritrovarono inutilizzati. Lo Stato iniziò a favorire fiscalmente il gasolio e le case automobilistiche si specializzarono nella produzione dei motori a diesel (ancora oggi i gruppi francesi mantengono questa specializzazione, in particolare Psa, Peugeot, Citroen, che ora si trova in profonda crisi), puntando sull’effettivo consumo ridotto rispetto alla benzina normale. Nel tempo, però, il risparmio ottenuto grazie al gasolio si è ridotto per i progressi effettuati sul fronte dei motori a benzina. Non solo: a lungo si è sottolineato che, grazie al consumo più basso assicurato dal diesel, anche le emissioni di CO2 si riducevano. Ma questo vantaggio, in parallelo con la forte flessione nella differenza tra i consumi, è diventato sempre meno significativo. Mentre si è cominciato a sottolineare il forte impatto inquinante del gasolio a causa dell’emissione di diossido di azoto e di polveri sottili. Queste, nel loro complesso, secondo fonti governative, hanno provocato nel 2011 la morte di 40mila francesi nel 2011.

E così, sulla scia di quanto ribadito dalla Corte dei Conti, Cécile Duflot, ministro responsabile delle politiche abitative, ma soprattutto agguerrita esponente dei Verdi, ha dichiarato che “bisogna superare l’anacronismo del diesel in Francia”. Sulla stessa lunghezza d’onda si trova Delphine Batho, responsabile del dicastero dell’ecologia, anche se ha sottolineato come l’eliminazione del vantaggio fiscale competitivo del diesel debba essere “progressiva” e si debba associare a “misure di giustizia sociale per non penalizzare la popolazione che più usa il diesel, in ambito rurale e nelle periferie urbane più lontane dal centro”. Insomma: bisogna proporre contributi per la sostituzione dei veicoli diesel, che rappresentano attualmente il 60% di quelli in circolazione e addirittura il 70% delle immatricolazioni. Intanto, però, Arnaud Montebourg, ministro del Risanamento produttivo, si è detto contrario a qualsiasi intervento sul gasolio, almeno in questo momento, perché le misure favorirebbero comunque le auto straniere. Sono adesso almeno 8mila (tra Renault e Psa) i lavoratori francesi impegnati in impianti di fabbricazione dei motori diesel. Per Montebourg, niente si deciderà su questo dossier sensibile, almeno quest’anno. Ma non è sicuro che la sua volontà venga esaudita. Troppe sono le polemiche.

Intanto il mondo economico e produttivo reagisce seguendo, ovviamente, i propri interessi. Contrari i camionisti (la Fntr, Federazione nazionale del trasporto su strada), grandi utilizzatori, e favorevole invece l’industria petrolifera (rappresentata dall’Ufip), dato che, nel tempo, la Francia è diventata deficitaria a livello della bilancia commerciale per il gasolio. Mentre Carlos Ghosn, alla guida di Renault (che controlla anche la giapponese Nissan), ha sottolineato: “I Governi hanno dei deficit e devono trovare dei soldi: guardano alle minime opportunità per centrare il loro obiettivo”. A sette miliardi, in effetti, ammonterebbe l’apporto alle casse pubbliche se le tasse sul diesel fossero allineate su quelle della benzina (ma senza considerare gli eventuali contributi per aiutare i consumatori a sostituire le loro vetture a gasolio). “Nel momento in cui l’Europa la crisi industriale  si aggrava – ha aggiunto Ghosn – è proprio il momento di ridurre la competitiivtà del diesel, così importante per l’industria francese?”. Nel frattempo, proprio in questi giorni, è scattata a Parigi l’allerta per l’inquinamento dovuto alle polveri sottili.