Avrebbero pensato alla barba e ai capelli di Grillo. Non è dato ancora saperlo, ma pare sia in procinto di chiudere uno dei simboli del Palazzo, tra i privilegi meglio custoditi della politica italiana: la barberia della Camera dei Deputati. Si, perché il celebre salone da barba di Montecitorio dovrebbe aprire i battenti a tutti. Ai non parlamentari, cioè, che abbiano accesso al “Palazzo”. Complice l’arrivo del Movimento 5 Stelle in Parlamento. Via da uffici e ascensori le targhe in ottone con la scritta “riservato agli onorevoli deputati”, via i vini migliori, via l’argenteria di casa. Tutto ciò che possa – anche lontanamente – far pensare a “privilegi”, viene accuratamente ridimensionato o eliminato.
Nella storia delle istituzioni, sia ai tempi della monarchia che della repubblica, la barberia ha rappresentato una certezza per gli onorevoli. Oltrepassare quel “toilette per signore, toilette per signori”, specchiarsi nella luce del salone tra cornici liberty, mentre le poltrone – che si alzano con il piede – preparano al taglio, era come entrare in un rifugio. Staccare il corpo e l’anima dal frastuono dell’aula, delle commissioni e della buvette. Eleganza, morbidezza e raffinatezza, anche un po’ retrò dove, tra lo sferruzzare, con shampoo, sforbiciata e frizione, si poteva socializzare, confrontandosi sui problemi del Paese. La barberia ne ha viste tante: dalla “lozione del Presidente”, di Costanzo Ciano “un profumo dolciastro, oleoso e penetrante”, come ricorda Mario Pacelli in “Bella Gente”, ad un Arnaldo Forlani, cauto persino con lozione e phone, fino all’esattissimo taglio della barba di Andreotti. Il Divo Giulio tornava anche al pomeriggio, appena un’ombreggiatura riaffiorava sul viso.
Le cose, per il Reparto Barberia – questo il nome ufficiale – iniziano complicarsi nel 1991, quando diventa a pagamento. Stesso destino che toccherà più tardi anche all’analogo servizio del Senato, dove le senatrici avevano un bonus messa in piega, come ricordano Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel libro “La Casta”. Non bastano i baffi di Occhetto e D’Alema, le folte chiome leghiste, né tanto meno la tricologia berlusconiana a risollevare le sorti nel 2007, quando c’è si chi ne chiede la chiusura. La proposta arriva all’ordine del giorno, ma viene cassata perché ritenuta “non coerente con le scelte della Camera”. In effetti, l’anno prima, causa super lavoro, erano entrati nuovi barbieri. Nel 2011, la crisi, però, riduce il personale. Ci si mette anche “Spider Truman” che costringe Montecitorio a chiarire, con una nota ufficiale, costi e meccanismi di reclutamento (per concorso) dei barbieri di Palazzo. La mazzata vera arriva, però, quando in un’intervista al Fatto Quotidiano, il ministro Giancarlo Galan, che non era parlamentare, confessa di utilizzare la Barberia della Camera con il foto tesserino da deputato, quello dell’amica Giustina Destro, parlamentare Pdl, padovana come Galan. Ora potrebbe arrivare la svolta, aprire per non morire.