L’Italia negli ultimi anni, in diversi consessi internazionali, è stata fortemente redarguita dalle Nazioni unite per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne.
Il 5 marzo si è aperta a New York la 57ma sessione della Csw, la Commissione sullo status delle donne nel mondo, riunita alle Nazioni Unite per discutere il tema della violenza sulle donne.
Donne e uomini, rappresentanti degli Stati membri, agenzie delle Nazioni unite e delle organizzazioni non governative e della società civile provenienti da tutto il mondo partecipano ai diversi incontri che sono stati organizzati sul tema.
Nell’agosto del 2011, il Comitato Cedaw (Comitato per l’implementazione della Convenzione per l’eliminazione di ogni discriminazione sulle donne), e nel giugno 2012, la relatrice speciale delle Nazioni unite sulla violenza contro le donne, hanno rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni. Entrambi hanno espresso una forte preoccupazione per l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine; per l’allarmante numero di donne uccise dai propri partner o ex-partner (femminicidi); per il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica; per l’assenza di rilevamento dei dati sul fenomeno, per la mancanza di coinvolgimento attivo e sistematico delle realtà della società civile competenti sul fenomeno per contrastare la violenza; per le attitudini a rappresentare donne e uomini in maniera stereotipata e sessista nei media e nell’industria pubblicitaria. Ad oggi l’Italia è ancora inottemperante rispetto agli standard e agli impegni internazionali?
I dati rilevati dalla stampa nazionale e locale del 2012 e raccolti dalla Casa delle donne di Bologna sono allarmanti: 124 femminicidi e 47 tentativi non riusciti. A queste cifre si devono aggiungere 8 morti collaterali, figli o sorelle della vittima o dell’autore. Quindi sono state 132 le persone uccise nei tragici eventi.
Il 69% delle donne uccise erano italiane, e il 73% degli assassini è italiano. Il 60% dei delitti è avvenuto tra persone che avevano una relazione di affetto e fiducia. Nel 25% dei casi le donne uccise erano in procinto di finire la relazione o l’avevano già fatto. Nel 63% dei casi il femminicidio si è consumato in casa o della vittima o dell’autore o di un familiare.
Le regioni che hanno percentuali maggiori di delitti sono quelle del nord, in cui le donne lavorano di più e hanno una maggiore facilità a usufruire del welfare offerto dalle proprie regioni, e quindi vivono situazioni di maggior autonomia e indipendenza per cui possono decidere di non sottostare alla violenza.
Per mettere fine a questa mattanza come associazioni di donne e realtà nazionali della società civile che condividono da tempo un forte impegno per contrastare, prevenire e sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne e sui diritti umani, Fondazione Pangea e le organizzazioni della Piattaforma Cedaw hanno elaborato assieme all’Udi una proposta politica unitaria per richiamare le istituzioni alle loro responsabilità, per ricordare che tra le priorità dell’agenda politica, la protezione della vita e della libertà delle donne non può essere dimenticata e disattesa: si tratta della Convenzione No More! che da ottobre ad oggi ha raccolto oltre 3000 firme tra associazioni, singoli donne e uomini e oltre 20 sottoscrizioni di comuni, province e regioni che si vogliono impegnare affinché i contenuti della NoMore! diventino fatti e non solo parole. Palermo, Torino, Bologna, Genova, Ferrara, la Regione Liguria e altri.
Allora quello che chiediamo oggi, a chi ci governerà e a tutti i parlamentari, di prendere una posizione chiara sui punti della Convenzione NoMore! fortemente promossa da Fondazione Pangea:
– di impegnarsi a realizzare fatti. Basta con nuove leggi che non vengono attuate, vogliamo che le norme già esistenti siano messe in pratica ad ogni livello, giudiziario, esecutivo e amministrativo.
– chiediamo di avviare un confronto sul Piano nazionale sulla violenza con le realtà della NoMore! che lavorano sul tema sia gestendo centri antiviolenza, sia impegnandosi nella sensibilizzazione e nell’azione culturale per il contrasto della violenza, con un approccio di genere e laico.
– di ratificare la convenzione di Istanbul con una legge capace di declinare nell’ordinamento italiano ad ogni livello i diversi aspetti della convenzione stessa.
– di non nascondersi dietro la crisi economica e finanziaria, dietro la spending review come scusa per separare le donne da quelli che sono i loro diritti e libertà costituzionali e internazionali, e per separare lo Stato dalla propria responsabilità di garantire e tutelare i diritti di tutti anche delle donne.
È ora di conformarsi agli impegni internazionali, non solo quelli economici dettati dalla Banca centrale europea, ma anche quelli dettati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.