La legge 194 che sancisce la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (o aborto), è a rischio. A minare il diritto conquistato 35 anni fa con faticose lotte l’alto numero di medici obiettori e la mancanza di prevenzione, informazione e tutela sociale nelle strutture sanitarie (leggi l’inchiesta di data journalism).
Per rendersi conto della situazione basta considerare i numeri. Secondo una ricerca indipendente realizzata in cinque province lombarde (Como, Lecco, Lodi, Monza e Brianza, Sondrio) dall’attivista politica Sara Martelli e presentata il 7 marzo a Palazzo Marino, a Milano, su un totale di 133 ginecologi e ginecologhe che lavorano nelle strutture sanitarie accreditate per l’interruzione volontaria di gravidanza soltanto 21 sono disponibili a praticare l’aborto. Si tratta del 17% del totale. La ricerca mette in evidenza dati diversi da quelli ufficiali che la Regione Lombardia ha comunicato al ministero della Sanità. Secondo la Direzione sanità della Lombardia, infatti, i medici disponibili all’aborto nelle cinque province considerate sarebbero il 25% del totale.
I dati raccolti dalla Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194 (Laiga) indicano che in Lazio non va meglio, visto che soltanto in 21 delle 31 strutture pubbliche accreditate si esegue l’interruzione volontaria di gravidanza. Il 91,3% dei ginecologi e delle ginecologhe negli ospedali si rifiuta di praticare l’aborto e in 3 province su 5 non è possibile eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza a scopi terapeutici.
Per riaffermare l’importanza della legge 194 e della sua corretta applicazione sono in programma due iniziative a Milano e a Roma. L’8 e 9 marzo a Roma il convegno promosso dalla Laiga all’ospedale Forlanini con interventi di medici, avvocati e attivisti. Il 9 marzo, all’Acquario civico di Milano, invece, si è svolto l’incontro dal titolo “Legge 194: cosa vogliono le donne“, promosso dal Comune di Milano con “Usciamo dal silenzio“, “Libera Università delle donne” e i “Consultori privati laici“. Entrambi gli appuntamenti si inseriscono nella ripresa della battaglia che il 14 gennaio 2006 portò in piazza a Milano 200mila donne (e anche molti uomini) in difesa della libertà di scelta.
Durante la presentazione dell’iniziativa milanese è stato ribadito più volte che il diritto all’interruzione di gravidanza è una questione che non riguarda soltanto le donne ma anche gli uomini. Secondo Lea Melandri, presidente della Libera università delle donne di Milano, è sbagliato pensare che l’aborto sia qualcosa di esclusivamente femminile “visto poi che le donne non si fecondano da sole”. Per fare in modo che aumenti la consapevolezza anche da parte degli uomini è necessario fare corretta formazione e informazione e smetterla con l’idea erronea che si ha della donna, sempre identificata come madre prima di tutto.
Le associazioni milanesi promotrici del convegno hanno elaborato un manifesto di proposte rivolto agli attori politici e sociali, per assicurare alla legge 194 un futuro migliore di quello presente. Una delle richieste prevede che ogni struttura, pubblica o privata, accreditata per l’interruzione volontaria di gravidanza sia obbligata ad applicare la legge 194. In caso contrario non avrà più diritto all’accreditamento. Allo stesso modo le strutture che svolgono il servizio di diagnosi prenatale dovranno garantire, se richiesto della donna, l’aborto terapeutico in caso di anomalie fetali. Nel manifesto poi si ricorda che la legge non prevede l’esercizio dell’obiezione di coscienza per la prescrizione e la vendita di dispositivi per la contraccezione, compresa la cosiddetta pillola del giorno dopo che non è un farmaco abortivo in quanto agisce sull’ovulazione.