La voglia di mandare in pensione il Porcellum e di dare agli italiani un nuovo sistema di voto è legato al cambiamento della Costituzione. Oltre al tempo necessario per il doppio passaggio in aula, c'è da fare i conti con la volontà del Movimento 5 Stelle
Due rebus, uno più complicato dell’altro, attendono il Parlamento che si insedierà a metà marzo. Il primo è noto: garantire un governo all’Italia nonostante nessuna coalizione abbia da sola i numeri per governare. Ma connesso con questo nodo, ce n’è un altro, forse ancor più complesso. Quello della legge elettorale. La parola d’ordine che ormai unisce tutti i poli è: rottamare il Porcellum, legge ad coalitionem concepita e introdotta nel 2005 per far al massimo pareggiare il centrosinistra al Senato (tradizionalmente debole nelle popolose regioni del Nord) e diventata ora inadatta anche per il centrodestra, visto lo scenario tripartito uscito dalle urne lunedì 25 febbraio.
Sul tema i punti d’incontro tra Pd e Pdl potrebbero essere maggiori rispetto a quelli registrabili con l’universo grillino. Per più di un motivo: innanzitutto, perché, ai 5 Stelle, che pure indicano la riforma elettorale come un loro punto prioritario, servirà un po’ di tempo per capire quale sistema sia meglio sostenere. E poi perché, sulle modifiche alla legge Calderoli, gli interessi dei due partiti maggiori potrebbero naturalmente convergere, dopo le divisioni che hanno fatto naufragare i tentativi d’accordo prima delle elezioni. I numeri per varare il nuovo sistema elettorale, a Pd e Pdl, di sicuro non mancano: erano i due partiti maggiori nel vecchio Parlamento. Lo sono tuttora (rispettivamente hanno 406 e 197 parlamentari, cifre che renderebbero possibile anche un accordo a due per eleggere il futuro Capo dello Stato al quarto scrutinio). Ma con quali tempi? E a quali modelli si potrebbe ispirare? I giochi in questo caso si complicano. Ed emerge una consapevolezza, a sentire i costituzionalisti dei due partiti maggiori. Nessuna legge elettorale sembra essere efficace senza una riforma della Costituzione. E non ci potrà essere riforma della Costituzione senza un governo che duri in carica per un tempo sufficiente.
Sul tipo di legge, va per esclusione Stefano Ceccanti, docente di diritto costituzionale comparato e senatore uscente Pd: “Il proporzionale puro va escluso perché introdurrebbe un’ingovernabilità strutturale. Estendere il premio di maggioranza nazionale dalla Camera al Senato anche, perché è inimmaginabile assegnare il 54% dei seggi a coalizioni che ottengono meno del 30%. Rimane l’ipotesi di maggioritario a doppio turno. Ma, da solo, non basta ad assicurare la stabilità di governo”. Analisi condivisa in area Pdl. “In questo scenario, non c’è sistema elettorale che possa garantire la governabilità senza modificare anche la forma di governo” ammonisce Giuseppe Calderisi, deputato di lungo corso della Commissione Affari costituzionali, sette legislature nei Radicali prima e in Forza Italia e Pdl poi. “Occorre abbinarla a una riforma della Carta, perché siamo peggio che nella IV Repubblica francese”.
E proprio Oltralpe risiede il modello che potrebbe rappresentare la soluzione ideale. Un sistema in cui si elegge direttamente il presidente della Repubblica e che permette agli elettori di scegliere, al primo turno, il candidato politicamente più vicino. E, al secondo turno, il migliore tra i due più votati. “Anche in Francia, l’anno scorso, le forze antisistema erano molto forti. Hollande al primo turno si fermò al 28,6% e Sarkozy al 27%. Il ballottaggio tra i primi due funzionò da diga, evitando che la debolezza del sistema partitico si trasferisse al sistema istituzionale”. Una manciata di giorni dopo l’elezione, Hollande incontrò Angela Merkel nella pienezza dei suoi poteri. L’altra ipotesi sul campo potrebbe essere l’estensione del sistema elettorale dei Comuni (elezione diretta a doppio turno del sindaco e sistema proporzionale per il consiglio comunale, con un premio di maggioranza da attribuire alla coalizione più votata). “Ma anche in questo caso, la riforma della Costituzione è ineludibile”, osserva Ceccanti.
Un percorso possibile solo con un congruo arco temporale a disposizione, visto che richiederebbe due approvazioni da parte di ciascun ramo del Parlamento, tre mesi di pausa tra prima e seconda lettura, più un eventuale (ma più che probabile) referendum confermativo. Senza accordo sul nuovo governo, tutto questo sarebbe impossibile e non rimarrebbe che tornare alle urne con il redivivo Porcellum. E con il concreto rischio di bruciare altro tempo (e denaro) per poi ritrovarsi in una condizione analoga. “Nel Pdl – commenta Calderisi – c’è una diffusa consapevolezza di dover abbinare riforma elettorale e costituzionale. Mi pare stia contaminando anche il Pd”. Rimane da capire quanto condividano tale ipotesi i 5 Stelle. La concretizzazione di questo scenario passa, molto, anche per le loro scelte.
di Emanuele Isonio e Mauro Meggiolaro