Giuseppe Verdi è l’unico a guardare dritto nell’obiettivo della macchina fotografica. Nelle prime fotografie di gruppo in bianco e nero dell’epoca che oggi compaiono sui libri di storia, il Maestro era uno dei pochi a mettersi in posa. Al tavolino di un caffè nel centro di Milano, nel giardino della villa di Sant’Agata, perfino durante un pranzo a Montecatini: gli altri intorno a lui continuavano a compiere gli abituali gesti quotidiani, chiacchierare, portare la tazza alle labbra, ammirare il paesaggio. L’unico a guardare verso il fotografo era Verdi. Lo sguardo serio, niente sorriso dietro i lunghi baffi, con il volto familiare che tutti gli italiani hanno imparato a conoscere, prima di studiarlo, sulle banconote da mille lire stampate con il suo ritratto nelle due versioni del 1962 e del 1968 nella serie degli “uomini illustri”.

Alla fine del 1800 Verdi faceva parte dello “star system” del tempo e aveva già compreso l’importanza della fotografia e dell’immagine. A notarlo sono stati molti anni dopo gli studiosi dei media, ma il primo a vedere nel futuro, fissando verso l’obiettivo, era stato proprio lui. Guardava lontano, Verdi, da uomo moderno qual era, ma forse nemmeno lui avrebbe scommesso sulla celebrazione del suo bicentenario, né avrebbe immaginato che la sua fama sarebbe cresciuta, invece che scemare, con il tempo.

E forse non avrebbe mai pensato che la sua opera negli anni Duemila avrebbe viaggiato in rete in occasione del duecentesimo anniversario della sua nascita, avvenuta il 10 ottobre del 1813 a Roncole di Busseto nel parmense. L’ultima trovata è il sito www.giuseppeverdi.it nell’ambito del progetto Verdi 200, un cartellone digitale che la Regione Emilia Romagna ha scelto per comunicare tutte le iniziative legate alle celebrazioni, con la possibilità di seguire i principali eventi via streaming e in simulcast dai teatri e sul canale 118 di Lepida tv, apertura il 15 marzo con “Otello” dal teatro comunale di Modena Luciano PavarottiIl sito è stato creato nel 2001 dalla Provincia di Parma e raccoglie, oltre alle informazioni sulla vita del grande compositore, anche immagini e curiosità, con tanto di app da scaricare su tablet e smartphone. 

Altri modi e altre vie di concepire e diffondere la musica di Verdi, che la sua fama di compositore la conquistò quando ancora internet non esisteva, in anni di studi e sacrifici, lui che proveniva da una famiglia umile di agricoltori piacentini che avevano aperto un’osteria a Roncole. La prima musica la suonò su una spinetta che un artigiano gli riparò gratuitamente intuendo il talento del ragazzo. Poi le lezioni con l’organista della chiesa, fino al fondamentale incontro con Antonio Barezzi, che lo prese sotto la sua protezione, finanziando quegli studi privati che lo portarono lontano da Busseto e dalla sua terra natale.

È a Milano nel 1839 il suo debutto con la prima opera “Oberto, conte di San Bonifacio”, ma è “Nabucco” che nel 1842 consacra il Maestro nell’olimpo dei grandi compositori italiani. Da quel momento per Verdi comincia una sfolgorante carriera, per dieci anni compone quasi un’opera all’anno, da “I Lombardi alla prima crociata” a “La battaglia di Legnano”, da “I due Foscari” a “Giovanna d’Arco”, dal “Rigoletto” alla “Traviata”.

Verdi è applaudito nei teatri italiani ed europei, da Milano a Parigi, ma è anche l’uomo della modernità che con le sue arie ha scandito le fasi della nascita dell’Italia come nazione, facendo da colonna sonora alle conquiste del Risorgimento. Il “Va’ Pensiero” del “Nabucco” divenne l’inno patriottico contro l’occupatore austriaco e Verdi fu tra i primi deputati dell’Italia unita dopo il 1861, e ancora prima ammiratore di Mazzini e della sua Giovine Italia. Le sue musiche le conosce a memoria la borghesia, ma anche il popolo, e nella sua terra natale, nelle osterie parmensi, si canta Verdi prima ancora di andare ad applaudire le sue opere nel loggione del Teatro Regio. Per questo il Cigno di Busseto che frequenta Ricordi e l’alta società di Milano, è anche il musicista del popolo e al suo funerale, il 30 gennaio 1901, una folla di oltre 300mila persone si riversa nelle strade di Milano. A salutarlo ci sono musicisti, melomani, intellettuali e gente comune, a dare l’estremo addio in musica è un coro di 820 voci diretto da Arturo Toscanini, che con Verdi condivide gli stessi natali.

La sua fama però è anche una sorta di maledizione e dopo la sua morte il nome di Verdi diventa un blasone da contendere. Milano, Parma e Piacenza ne rivendicano la paternità. Il Maestro è nato a Busseto, quindi il parmense si dichiara terra verdiana. Ma la sua famiglia è originaria di Piacenza e proprio a Sant’Agata, nel piacentino, il compositore si stabilisce definitivamente nel 1850 e partecipa alla vita politica del territorio.

La Banca di Piacenza nel volume di Mary Jane Phillips-Matz dal titolo “Verdi il grande gentleman del Piacentino” ripropone questa rivendicazione e al “Verdi piacentino”, alle osterie e alle locande in cui si canta “La Traviata”, ha dedicato il mediometraggio “Addio del passato” il regista Marco Bellocchio, che aveva anche diretto la trasposizione televisiva del “Rigoletto”. Poi c’è Milano, che di Verdi ha sancito il successo con la casa Ricordi e dove il Maestro è seppellito insieme alla seconda moglie, dove ha fatto costruire la Casa di riposo per musicisti, che lui stesso aveva definito “l’opera mia più bella”. La Milano intellettuale, seconda casa di Verdi, che però nell’anno del bicentenario ha voltato le spalle al grande compositore, inaugurando la stagione della Scala con un’opera di Richard Wagner (di cui pure ricorrono i 200 anni dalla nascita) e accendendo le polemiche tra appassionati.

Le celebrazioni del bicentenario non hanno aiutato, rinfocolando diatribe in corso da anni, con una gara dei Comuni a contendersi la paternità delle iniziative, con scontri tra partiti politici per escludere l’una o l’altra città, perfino per la spartizione dei 6,5 milioni di euro erogati dal Governo per promuovere la manifestazione e il recupero dei luoghi verdiani. A rendere il clima più teso è anche il periodo di tagli alla cultura e realtà in crisi, con città come Parma, centrale per il bicentenario, che si deve accontentare di un Teatro Regio in politica di low cost, o come Busseto, dove la casa di Verdi in stato di abbandono è stata messa in vendita per mancanza di fondi.

Chissà cosa ne penserebbe oggi il Maestro, che lasciò parte delle sue cospicue ricchezze a ospedali, istituti per ciechi e rachitici, asili e case di riposo. Sicuramente apprezzerebbe l’iniziativa della Regione “Vapensieroday, all’opera per il terremoto” per raccogliere fondi a favore dei teatri storici dell’Emilia Romagna colpiti dal sisma del maggio 2012. Di certo, nell’anno in cui tutto il mondo è impegnato a festeggiare l’anniversario della sua nascita, con la rappresentazione delle sue opere in tutti i principali teatri di lirica, di quel volto che già nelle prime fotografie guardava al futuro, oggi fanno sorridere le confessioni scambiate con alcuni amici intimi, a cui nel 1888 il Maestro aveva confidato: “La mia fama non durerà più di 15 o 20 anni dopo la mia morte”.

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