Domenica scorsa, durante la trasmissione di Massimo Giletti, “L’arena”, Gianni Ippoliti ha lanciato una proposta surreale: far parlare i politici senza guardarli in faccia, di spalle, proprio come i giudici di “The Voice, e schiacciare il pulsante – l’equivalente di un sonoro “mi piace” – quando ci convincono. Bell’idea. Se non altro eviterebbe di guardare le solite facce che, anche in questo desolante dopo-elezioni, si succedono senza posa da una rete televisiva all’altra. Con gli stessi discorsi. Come se in questi mesi non fosse successo niente.

Ma i soliti leader sarebbero subito riconoscibili dalla loro inconfondibile “voice” e quindi dovrebbero ricorrere a ignoti e composti portavoce.

Perché, siamo proprio sicuri che le proposte, in perfetto politichese, non siano le stesse? Stesse parole, stessi contenuti di prima, ma con accenti diversi. In sostanza nessun cambiamento, il che si traduce in una riconferma della sfiducia dei cittadini nella politica. Purtroppo per Ippoliti e per il suo originale tentativo di voltare le spalle alle solite facce, il risultato non sarebbe diverso.

Come se la caverebbe Bersani (o il suo “avatar”) sulla questione del finanziamento pubblico ai partiti? Ora che Beppe Grillo gli ha ammannito una dichiarazione bell’e pronta di rinuncia all’incasso e gliel’ha servita su un piattino avvelenato quanto basta, l’unica voce che si sia levata, da quelle parti, contro il finanziamento ai partiti è di Matteo Renzi. L’unica fuori dal coro, ma anch’essa ben riconoscibile.

Certo è che nella società italiana emergono esigenze di un cambiamento radicale, che mettono in discussione le vecchie modalità di fare politica. Non è più una questione di faccia. Adesso è il momento dei “Signori-Nessuno” e della speranza riposta nella normalità, anzi, nell’ipernormalità del cittadino comune.

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