Nella ultima congregazione generale dei cardinali il Segretario di Stato ha tenuto una relazione sulla banca vaticana. Ad ascoltarlo c'era anche il prossimo Papa a cui Bertone, nella sua veste di presidente della commissione Cardinalizia di Vigilanza dell’Istituto, ha chiarito che anche dopo la fumata bianca, la politica sulla banca vaticana non si potrà fare senza di lui
È lo Ior il “testamento” di Tarcisio Bertone per il nuovo Papa. Nella decima e ultima congregazione generale dei cardinali, tenutasi in Vaticano, alla vigilia dell’ingresso dei 115 porporati elettori in conclave, il Segretario di Stato di Benedetto XVI ha tenuto una breve relazione sulla banca vaticana. Ad ascoltarlo ovviamente c’era anche il prossimo Papa a cui Bertone, nella sua veste di presidente della Commissione Cardinalizia di Vigilanza dell’Istituto per le Opere di Religione, ha chiarito che anche dopo la fumata bianca, e sopratutto anche con il nuovo Segretario di Stato, la politica sulla banca vaticana non si potrà fare senza di lui. È questa la speranza del “premier” di Benedetto XVI il cui governo in questi ultimi sette anni ha creato non pochi malumori, anche all’interno del Collegio Cardinalizio. “È lui il vero peccato originale di questo pontificato”, sussurra un anziano vescovo italiano che se potesse votare in conclave preferirebbe di gran lunga il cardinale di New York, Timothy Michael Dolan, all’Arcivescovo di Milano, Angelo Scola.
Con la fumata bianca che annuncerà al mondo, forse già mercoledì prossimo, l’elezione del nuovo Papa, Bertone non vuole uscire di scena in malo modo, quasi come unico capro espiatorio del pontificato di Ratzinger. Spera di essere riconfermato Segretario di Stato dal successore di Benedetto XVI “donec aliter provideatur”, ovvero almeno per un breve periodo, in attesa che il 266esimo Vescovo di Roma scelga il suo nuovo “premier”. E soprattutto vuole rimanere al vertice della commissione Cardinalizia di Vigilanza dello Ior forte della riconferma quinquennale, ovvero fino al 2018, ottenuta da Benedetto XVI pochi giorni prima della fine del suo regno. Bertone teme che non potrà essere così. Il porporato salesiano, infatti, si appresta a compiere, il prossimo 2 dicembre, 79 anni.
Il codice di Diritto Canonico prevede al compimento dell’ottantesimo anno di vita che tutti i porporati perdano, non solo il diritto di voto in conclave, ma anche ogni loro carica nella Curia romana. Ciò vuol dire che alla fine del 2014 soltanto il nuovo Papa potrà decidere se lasciare che Bertone decada automaticamente, come previsto dalla legge della Chiesa, dalla presidenza della commissione Cardinalizia di Vigilanza dello Ior oppure no. Uno scenario diverso, però, al momento è assolutamente improbabile. Non a caso Bertone ha fatto nominare da Benedetto XVI, pochi giorni prima della sua abdicazione, Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) e uomo fidatissimo del porporato salesiano, nella commissione Cardinalizia di Vigilanza della banca vaticana al posto di Attilio Nicora, presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede (Aif). Non pochi, in questi anni di difficile convivenza in Vaticano, sono stati gli scontri tra Nicora e Bertone in particolare sulla legge antiriciclaggio di cui si è dovuta dotare la Santa Sede per rispondere agli standard europei imposti da Moneyval, la divisione del Consiglio d’Europa che valuta i sistemi antiriciclaggio.
Se il prossimo Papa, subito dopo l’attesa fumata bianca, non dovesse confermare seduta stante Tarcisio Bertone alla guida della Segreteria di Stato sarebbe un primo importante segnale di svolta dopo una gestione che ha suscitato non poche e veementi critiche nell’episcopato per l’operato del porporato salesiano. Non a caso nelle pause caffè delle congregazioni generali di questi giorni i cardinali hanno cercato di individuare non solo il profilo del prossimo Papa, ma anche quello del suo Segretario di Stato. Una sorta di ticket all’americana. E pensando che possa essere eletto per la terza volta consecutiva un Pontefice straniero, i nomi dei possibili “premier” vaticani che si sussurrano in queste ultime ore di preconclave sono tutti italiani: Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il clero, l’attuale “Papa rosso” Fernando Filoni, alla guida del dicastero di Propaganda Fide, e il suo predecessore Crescenzio Sepe, attualmente arcivescovo di Napoli.