Lo diciamo fuori dai denti: per noi, i sindacati confederali sono uno dei grandi ostacoli al miglioramento della condizione dei precari in questo paese. Non vogliamo lanciare una guerra tra poveri, precari contro i garantiti, anche perché nessuno è più garantito. Il problema però è che molti sindacati si ostinano a usare ricette vecchie per risolvere problemi di tipo nuovo, bloccando qualsiasi possibilità di cambiamento.
In un’intervista al Manifesto ad esempio, Susanna Camusso della Cgil ha ribadito la sua opposizione al salario minimo, cioè una
paga minima oraria per chi non rientra nei contratti nazionali. In
Europa questa misura esiste quasi dappertutto. Non in Italia, dove chi non ha un contratto a tempo indeterminato può essere pagato anche un euro all’ora. E perché la
Cgil si oppone? Perché il salario minimo “depotenzierebbe la contrattazione”, dice Camusso che trova “più responsabile includere i precari nei contratti, piuttosto che deresponsabilizzarci e lasciare tutto alla legge e ai suoi automatismi”. Dimentica però di spiegarci come mai in vent’anni non siano riusciti nella missione di includere i precari nei
contratti nazionali: oggi molti precari non sanno nemmeno cosa sia il contratto nazionale. E ora non vogliono nemmeno concederci una paga minima oraria? Per non parlare di dare a tutti quei
diritti che dovrebbero essere universali, come la maternità o le ferie pagate?
Andiamo avanti, al capitolo
reddito di cittadinanza, che noi chiamiamo
reddito di base. Finalmente la
Cgil non si oppone più ideologicamente al reddito, ma ne vuole uno che a noi non piace per nulla: breve e “finalizzato a un inserimento lavorativo”. Proposito nobile, ma che potrebbe trasformare il reddito in una misura che obbliga ad accettare qualsiasi lavoro. Invece deve permettere ai precari di rifiutare i lavori sottopagati e non consoni al proprio percorso di vita e studio. Mai più in un
call center a 500 euro al mese! Infine, Camusso vuole che il reddito serva per “assicurare l’istruzione”. Insomma formazione per chi perde il lavoro in modo da favorire il reinserimento. Ma come, oggi che
i laureati scappano dall’Italia, e chi ha due master è a spasso?
La formazione è una presa in giro in una situazione simile, e il dubbio è che la Cgil sia interessata a gestire questo business con relativi finanziamenti pubblici.
Infine, il problema della rappresentanza. In questi anni i sindacati hanno firmato decine di accordi al ribasso. Inoltre non dimentichiamoci che la grande maggioranza dei contratti precari è illegale: si tratta di lavoratori subordinati a tutti gli effetti, ma pagati meno e con meno diritti. E il sindacato dov’è? Perché non lancia una campagna seria di vertenze in cui fare causa alle aziende? Per esempio potrebbe scoprire che spesso chi fa vertenza vince proprio l’assunzione con il contratto nazionale.
I precari e le precarie chiedono
misure concrete e non battaglie di retroguardia.
Vorrebbero convincerci che non è successo nulla negli ultimi vent’anni, che tutte possiamo ancora rientrare nel contratto nazionale per legge. Certo, come abbiamo sempre detto bisogna abolire la Legge Biagi e il Collegato lavoro. Ma dare sostegni come il reddito di base e il salario minimo ai precari permetterebbe loro di vivere e lavorare con dignità e di contrattare il miglioramento delle proprie condizioni lavorative. Alcuni sindacati, come la Fiom e i sindacati di base, ormai sono d’accordo.
Le grandi confederazioni sindacali da che parte stanno?