Un anno di promesse ministeriali non ha cambiato molto la situazione delle imprese italiane, strette tra mancati pagamenti, crisi di liquidità e protesti. Un cortocircuito sempre più pericoloso. Il nuovo record è stato certificato dal Cerved, secondo cui l’anno scorso sono state 47mila le aziende non individuali che hanno accusato almeno un protesto. Rispetto al 2007, ultimo anno prima della recessione, la crescita è del 45 per cento e le costruzioni sono il settore più colpito. La tendenza dei protesti accusati dalle aziende, ovvero gli atti con cui un pubblico ufficiale constata e dichiara che non è avvenuto il pagamento di un titolo di credito, sembra quindi non fermarsi: negli ultimi tre mesi la corsa ha infatti accelerato, con 221mila titoli contestati, in aumento del 9 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011.
Secondo il Cerved, gruppo specializzato nell’analisi d’impresa, il poco piacevole boom non ha risparmiato alcun settore. Complessivamente nel 2012 si contano quasi 11mila società protestate nella filiera delle costruzioni (+9,1 per cento sul 2011), oltre 25mila nei servizi (+9,5 per cento) e più di 5mila nella manifattura (+7,5 per cento). I precedenti record negativi del 2009 sono stati abbondantemente superati dal terziario (+8,2 per cento) e dalle costruzioni (+10,2 per cento), dove in particolare la diffusione del fenomeno ha raggiunto livelli critici. L’anno scorso al 3,4 per cento delle imprese non individuali che operano nel settore è stato infatti protestato almeno un assegno o una cambiale, contro una percentuale pari all’1,8 per cento nell’industria e all’1,7 per cento nel terziario.
La situazione trova il suo contraltare in un altro dato tutt’altro che rassicurante, nonostante le continue rassicurazioni del ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera. I ritardi gravi, cioè oltre i due mesi, nei pagamenti delle imprese italiane ai fornitori sono infatti tornati ai massimi della crisi: nel secondo trimestre 2012 riguardavano infatti il 5,7 per cento del totale delle aziende, percentuale che nel terzo trimestre è salita al 6,1 per cento per volare al 7,1 per cento a fine anno. Secondo il gruppo specializzato nell’analisi delle dinamiche aziendali, questi sono casi che “frequentemente sfociano in default“. Ufficialmente tra ottobre e dicembre le aziende italiane hanno pagato i propri fornitori in media in oltre 85 giorni, con un incremento dei ritardi gravi che riguarda tutte le fasce dimensionali d’impresa. Ma il dato più inquietante è a carico delle grandi aziende: sono quelle che possono godere di termini in fattura più vantaggiosi, dove la fetta in ampio ritardo di pagamento è cresciuta in un solo trimestre dal 6,9 all’8,2 per cento del totale.
La parte del leone continua a farla lo Stato, con la pubblica amministrazione che è ben lontana dal saldare i propri debiti miliardari, mentre i fornitori che non hanno ancora chiuso i battenti sono alla disperazione. Gli ultimi calcoli pubblicati dal Corriere della Sera parlano di 150 miliardi di euro. Più del doppio delle stime degli industriali. Secondo Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, il Paese “ha bisogno di intervenire rapidissimamente sui nodi dell’economia reale”. In particolare, come ha ricordato mr Vinavil al Tg5, c’è un punto che agli imprenditori sta particolarmente a cuore e che è diventata una vera emergenza: il pagamento dei debiti da parte della pubblica amministrazione, che rimetterebbe in moto il sistema produttivo. “I debiti ammontano a 71 miliardi secondo le stime della Banca d’Italia”, ha detto, ricordando che “nel programma che abbiamo sottoposto alle forze politiche sotto le elezioni abbiamo previsto nella terapia d’urto, da realizzare nei primi novanta giorni, il pagamento di 48 miliardi, un’iniezione di liquidità che permetterebbe di generare almeno 10 miliardi di investimenti nei prossimi anni”.