Nei suoi 8 punti, Bersani tocca ampiamente il tema della riforma del lavoro, proponendo una riduzione del costo del lavoro stabile per eliminare i vantaggi di costo del lavoro precario, un salario minimo per chi non ha copertura contrattuale, l’universalizzazione delle indennità di disoccupazione e l’introduzione di un reddito minimo d’inserimento.
Il programma del MoVimento 5 Stelle, più datato, auspica semplicemente “l’abolizione della legge Biagi‘ anche se, durante il governo Monti, il ministro Fornero è stato duramente criticato dal leader del M5S.
Un più recente programma in 20 punti è stato pubblicato sul sito di Grillo poco prima delle elezioni e pone al primo posto l’istituzione del Reddito di Cittadinanza, che è rapidamente diventato uno degli elementi qualificanti programma delle proposte di Grillo per l’economia e il lavoro.
Come spiegano Tito Boeri e Roberto Perotti su Lavoce.info il reddito di cittadinanza è diverso dal reddito minimo garantito proposto dal Pd. Il primo prevede il pagamento di tale reddito a tutti i cittadini, indipendentemente dal fatto che lavorino, che siano disoccupati o che siano inoccupati. Per questo motivo il reddito di cittadinanza non è distorsivo ma è estremamente costoso (i due economisti stimano un costo pari al 20%del PIL se venissero pagati 1000€ a tutti i cittadini) e politicamente difficile da difendere (si dovrebbe giustificare il reddito percepito anche dai ricchi). Il reddito minimo garantito invece si riferisce all’estensione dei cosiddetti ammortizzatori sociali che coprono tutte le situazioni in cui versano le persone in cerca di un’occupazione. Nonostante parli di “reddito di cittadinanza” è molto probabile che Grillo si riferisca al reddito minimo garantito, almeno stando alle sue dichiarazioni sul tema susseguitesi durante la campagna elettorale.
In mancanza di una interpretazione autentica, assumiamo quindi che Grillo parli di reddito di cittadinanza ma intenda reddito minimo garantito. Come spiegato dagli economisti de LaVoce.info e da quelli di LinkTank non è affatto peregrino ripensare il sistema degli ammortizzatori sociali oggi composto da una serie di programmi con obiettivi meritevoli, ma sviluppati in modo non coordinato quali i sussidi di disoccupazione offerti solo a certe categorie (la cassa integrazione), le pensioni sociali e le integrazioni al minimo nonché tutte le prestazioni di indennità civile quali l’assegno di assistenza, l’indennità di frequenza per gli invalidi civili minorenni, le pensioni di inabilità, e le indennità di accompagnamento. E’ persino auspicabile che si giunga alla sostituzione di tutte queste voci di spesa sociale con un unico strumento di supporto al reddito che sia al tempo stesso universale, nel senso che è basato su regole uguali per tutti, ma anche selettivo, nel senso che subordina la concessione del sussidio ad accertamenti su reddito e patrimonio. L’aggravio di spesa per le casse dello stato sarebbe significativo (a Lavoce.info lo quantificano intorno agli 8-10 miliardi per un reddito garantito di 500 €, ovvero la metà di quanto auspicato dal MoVimento 5 Stelle) ma non impossibile da affrontare.
Il reddito minimo garantito però crea importanti distorsioni nella scelta dei lavoratori di offrire lavoro alle imprese, cioè di cercare un impiego. Garantire un reddito minimo di 1000 euro a individui che possono ambire a guadagnare poco più (o poco meno) di quell’ammontare in un mercato del lavoro depresso come il nostro mina la disponibilità degli individui a cercare una nuova occupazione e incentiva il lavoro nero.
Per capire il problema della distorsione creato dal reddito minimo garantito prendiamo l’esempio della Fimek di Padova, chiusa nel 2012 con il licenziamento di 67 operai dopo 8 anni di cassa integrazione. Questi lavoratori hanno ricevuto un reddito minimo garantito per 8 anni in una regione che ancora nel 2011 vedeva stipulati 145.600 contratti a tempo indeterminato ordinario e 515.000 a termine. Sempre nel 2011 il 40%di quelli che erano stati licenziati avevano trovato nuova occupazione in un mese; il 60% entro tre mesi; l’81% entro un anno. Naturalmente non conosciamo le storie individuali di ciascuno di questi operai però possiamo presumere che la cassa integrazione in questo caso abbia indotto almeno alcuni di loro a rinunciare a cercare attivamente un altro lavoro pur in un contesto regionale del mercato del lavoro favorevole. Oltre ai costi per la cassa integrazione, dobbiamo anche considerare il danno di veder sottratto al mercato del lavoro locale l’offerta di manodopera di operai specializzati, e infine il danno individuale subito da quegli operai che sono costretti a cercare adesso un lavoro in un contesto molto più difficile senza alcun supporto da parte dello stato.
Il problema di coniugare il reddito minimo garantito con l’esigenza di mantenere alta la propensione al lavoro delle persone abili può essere risolto attraverso un sistema di ricollocamento attivo (outplacement) che segua in maniera efficiente il percorso di reinserimento di ogni singolo lavoratore, lo aiuti nell’attrezzarsi alle nuove sfide del mondo del lavoro e condizioni il mantenimento del reddito minimo garantito alla sua disponibilità effettiva a confrontarsi con tali sfide.
Né centrosinistra né MoVimento 5 Stelle menzionano i servizi di outplacement nei loro programmi, che costituiscono invece una parte importante delle proposte per il lavoro della lista Monti. Il loro programma infatti recita: In tema di ammortizzatori sociali, ci proponiamo di consentire che, nei nuovi rapporti di lavoro, l’impresa che si trova a dover licenziare sostituisca il contratto di lavoro con un contratto di ricollocazione. Questo includerebbe un servizio di outplacement (assistenza per la ricerca della nuova occupazione), con costo per tre quarti coperto con i contributi del Fondo Sociale Europeo, combinato con un trattamento complementare di disoccupazione a carico dell’impresa.
Insomma, il reddito minimo garantito potrebbe mettere d’accordo il centrosinistra, il movimento 5 stelle e anche la lista Monti, a patto di fare una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali e degli strumenti di ricollocamento attivo.
di Matteo Rizzolli
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