Il 13 marzo non è un giorno come gli altri. Non vorrei neppure che lo fosse. Da tempo ho cominciato ad almanaccare sui possibili influssi benefici dell’accoppiata mercoledì 13, contrapposta al temutissimo venerdì 17. Chi ha letto i fumetti di Pogo sa cosa intendo, chi non lo ha letti… peggio per lui. C’è poi quest’altra che chiamare coincidenza mi sembra riduttivo, ovvero che 13 marzo 2013 si abbrevia il 13/03/13, con questa danza di 0, di 1 e di 3 che mette allegria. Sto dando i numeri? Ovvio. Basta darsi il via e non ci si ferma più.
La verità è che il 13 marzo non è un giorno come gli altri, perché oggi dopo quattro anni e mezzo esce un mio nuovo romanzo. 25 settembre 2008 (allora era Senza luce), 13 marzo 2013 (adesso è Crepe). In mezzo ci sono stati racconti, raccolte, novelle, graphic novel, tante cose anche belle e soddisfacenti, nessuna però con la forza di un romanzo. Nessuna così significativamente esplicita nell’evidenziare che è proprio cambiato tutto.
Come abbiano potuto accadere tante cose senza che quasi non ci si accorgesse, è il vero mistero di questi anni. Ai tempi di Senza luce, parlavamo di letteratura, ci credevamo così come credevamo che l’editoria potesse essere il suo braccio armato, l’esercito che avrebbe potuto portarla in tutte le case. Adesso – ai tempi di Crepe – continuiamo a credere nella letteratura, ma per sostenere l’editoria siamo costretti a patteggiare un disonore dietro l’altro, a osservare come le armate del conquistatore conquistino sempre un obiettivo se non sbagliato almeno secondario. Credevamo di fare cultura, di essere importanti, persino decisivi; di contro ci accontentiamo di essere, di vivacchiare, di strappare i margini.
Come scrittore, questa trasformazione mi riguarda poco. Sono approdato troppo tardi alla scrittura per accampare qualsiasi pretesa, in un mondo troppo sbilanciato sull’anagrafe, sul caso letterario, sull’estemporaneità. Un mondo che, quando ha fatto finalmente silenzio intorno e dovrebbe occuparsi della qualità del testo, ha esaurito ogni spinta e quasi dimentica di leggerlo, o lo fa fornendogli più attenuanti di una legge ad personam.
Nei mesi scorsi, e già sembrano anni, l’ala di sinistra degli scrittori e degli addetti ai lavori ha criticato duramente la direttrice editoriale della narrativa Mondadori, non per la sua politica dissennata, forse perché di quella dissennatezza vorrebbe comunque far parte, bensì per essere una presunta figlia di papà e di goderne i privilegi. Mi pare risolutivo come immagine e come giudizio dei tempi. Bisogna staccarsene e andare oltre, soffrendo magari, ma andare oltre.
Crepe esce il 13 marzo 2013, un giorno al quale non può chiedere nessun privilegio. Forse per la prima volta è consapevole del suo essere e non ha bisogno che qualcuno glielo dica. È un romanzo che appartiene alla letteratura italiana, un romanzo che si guadagna a leggerlo, un romanzo che se ce ne fossero.
Mi sarebbe piaciuto scrivervi cosa vuol dire il passare del tempo per uno scrittore. Vedere la teoria dei mesi scorrere davanti agli occhi, scorgerli tutti uguali, tutti marcati dalla medesima assenza, quella di un romanzo nuovo che si affaccia in vendita nelle librerie. Ma non importa, questi quattro anni e mezzo sono stati lo stesso pieni, lo stesso gravidi. E alla fine il parto è arrivato. E per me è il migliore che potesse esserci, perché Crepe è davvero il mio romanzo più bello, il mio libro migliore. Al di là di quello che diranno, che non diranno o che hanno già detto e che non m’interessa.