A cosa servono gli intellettuali? A far capire, per esempio, che non ha senso parlare di ‘intellettuali’ in genere. Per avere un’opinione fondata, il primo passo è distinguere. Non giudicare in base alle appartenenze, ma al merito delle cose e delle parole.

Il fatto che l’appello a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle sia stato definito (non dai firmatari!) un appello di ‘intellettuali’ e il fatto che sia apparso su Repubblica ne hanno consentito la chiave di lettura che Grillo stesso ha utilizzato per liquidarlo a scatola chiusa: «Pdmenoelle chiama, intellettuale risponde». E la risposta, sul web (anche su questo blog) e dalla viva voce dei parlamentari 5 Stelle, è stata (quasi) univoca: «Non daremo la fiducia ad un governo Bersani».

Ma l’appello voluto da Barbara Spinelli – firmato da Remo Bodei, Roberta de Monticelli, Antonio Padoa Schioppa, Salvatore Settis e da me: e soprattutto da 72.000 persone in tre giorni – non parla affatto di un governo Bersani, e nemmeno di un governo del Pd.

Come anche l’appello analogo promosso da Michele Serra (e uscito sull’Ansa, non su Repubblica) noi abbiamo chiesto al Movimento di accettare la responsabilità di un governo. Abbiamo chiesto di non «dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia». E abbiamo aggiunto che «Non sappiamo quale possa essere la via che vi permetta di dire sì a questi punti di programma consentendo la formazione del nuovo governo che decida di attuarli, e al tempo stesso di non contraddire la vostra vocazione».

I cittadini (qualunque sia la loro professione) hanno il diritto di chiedere che non si torni a votare senza prima aver cambiato la legge elettorale, senza aver estirpato il cancro berlusconiano, senza aver preso parte alle decisioni urgenti che l’Europa sta prendendo per noi, ma senza di noi.

Decidere quale governo possa farlo spetta al Presidente della Repubblica e al Parlamento. Ciascuno di coloro che hanno firmato l’appello ha una propria preferenza. Io personalmente vedrei bene un governo senza ministri di partito (guidato per esempio da Stefano Rodotà, o da una personalità dello stesso livello). Ma se il Movimento 5 Stelle, primo partito nel Paese, fosse pronto a formare e guidare un governo, io troverei ovvio che cercasse i voti in Parlamento.

E a quel punto toccherebbe al Pd essere responsabile, e non perdere questa occasione. Insomma, in nessun modo l’appello chiede la fiducia ad un governo Bersani: l’appello chiede un governo. Con la sola condizione che non comprenda il Pdl.

Ci siamo rivolti al Movimento 5 stelle perché la dichiarata aspirazione a raggiungere il 100 %, oltre ad essere inquietante, fa capire che questa legislatura appena nata è già data per morta. E a noi questo sembra uno spreco atroce. Dopo vent’anni si può cambiare: e non è affatto detto che nuove elezioni ravvicinate permettano di cambiare meglio e di più. E se un paese allo sbando riconsacrasse invece l’eterno Caimano? L’appello si chiude così: «Avete detto: ‘Lo Stato siamo noi’. Avete svegliato in Italia una cittadinanza che vuole essere attiva e contare, non più delegando ai partiti tradizionali le proprie aspirazioni. Vale per voi, per noi tutti, la parola con cui questa cittadinanza attiva si è alzata e ha cominciato a camminare, nell’era Berlusconi: ‘Se non ora, quando?’».

Ed è quello che ripetiamo: se non ora, quando? Non abbiate paura di cambiarlo davvero, questo Paese.

 

 

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