Decine di persone accalcate nei piccoli spazi del nuovo kebabbaro di via Saluzzo, a Torino, a due passi dalla stazione di Porta Nuova, all’angolo tra le strade multietniche del quartiere di San Salvario e i palazzi signorili di corso Vittorio. Non è una mangiata collettiva, però: è una manifestazione di solidarietà con chi sta tentando di aprire il primo negozio di kebab afgano in Italia e si è trovato di fronte un ostacolo imprevedibile. Un veto sul nome Kebab Kabul, posto dall’amministratore del condominio Mario Pampuro, su sollecitazione di alcuni residenti. “Per supportare i due giovani ragazzi che hanno deciso di aprire una loro attività commerciale in un momento in cui a Torino chiudono circa 3 esercizi commerciali al giorno, per supportarli dall’ignoranza dei condomini che non accettano il nome “Kebab Kabul” perché, secondo loro, “rovina il buon nome del palazzo” dice l’autoconvocazione su Facebook.

Tofan e Shahin Wardak sono i due ragazzi rifugiati dall’Afghanistan che hanno avuto l’idea di aprire il negozio, con i trentamila euro che la madre ha spedito loro dall’Afghanistan vendendo la casa di Kabul. Appartengono a una sorta di ceto medio locale, figli di un ufficiale, non sono particolarmente occidentalizzati ma non vogliono portare la barba e la tunica. Ancora non padroneggiano bene l’italiano, ma sono spalleggiati dal cugino Farhad Khan Bitani, presidente di un’associazione afgano-pakistana. “Pensavamo che con tutto l’intervento italiano che c’è stato per l’Afghanistan, questa iniziativa venisse accolta bene. Invece ci siamo accorti che l’amministratore del condominio metteva ostacoli. Ci sono voluti quattro mesi solo per farci aprire i sottotetti e sistemare la canna fumaria”. E poi c’è stata la spiegazione, lo sfogo, quando l’amministratore è andato da loro e ha parlato chiaro: “Kabul non è un nome adatto per un locale che si trova sotto un condominio signorile come il nostro. Evoca la guerra, il terrorismo. Ci sono anche dei condomini convinti che farà calare il valore del loro appartamento”. Sulla porta, che non è sottoposta ai permessi del condominio, c’è scritto Kebab Kabul, ma le insegne in alto sono coperte da fogli di giornale appiccicati con nastro adesivo. Non è che il condominio possa scegliere il nome. Ma per mettere un’insegna c’è bisogno del permesso del condominio, che non lo vuol dare.

La questione è aperta, sotterraneamente, da settimane. Una volta i due ragazzi afgani hanno persino chiesto alla polizia di intervenire, ma la telefonata di un commissario all’amministratore Pampuro si è scontrata con un muro di gomma. “Gli telefoniamo e dice che non dipende da lui, ma dal fratello, chiamiamo il fratello e dice viceversa”. Forse ora che sta cominciano a circolare come informazione agli italiani, la vicenda si sbloccherà. Oppure l’insegna resterà sempre coperta dai giornali, come un lavoro in corso. Il presidente della Commissione integrazione del consiglio di zona e la assessora comunale Ilda Curti hanno promesso di intervenire.

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