Il Movimento annuncia che voterà solo i suoi candidati e i democratici sono paralizzati e spaccati al proprio interno. Così il Carroccio si farebbe avanti per un improbabile sostegno anche a un esecutivo. L'obiettivo è non tornare a votare subito. Ma il Pdl non ci sta e vuole la riconferma di Schifani a Palazzo Madama. Per poi puntare a un mandato esplorativo
Il Movimento Cinque Stelle scopre le sue carte, il Pd resta immobile (e spaccato). E le sirene alla fine non sono tanto quelle che denunciano dal blog di Beppe Grillo (cioè quelle dei democratici nei confronti dell’M5S), bensì sembra che al contrario a tentare il Partito Democratico sia la Lega Nord. La prima mano tesa, con fare più che diplomatico, è quella di Roberto Calderoli che viene intervistato dalla Padania e le cui dichiarazioni vengono significativamente anticipate sulle agenzie: “Considerato il risultato elettorale il Pd riconosca al Pdl la presidenza della Camera, rivendichi per se stessa quella del Senato, dove Anna Finocchiaro è un candidato eccellente. La Lega c’è ed è pronta a discutere di tutto e con chiunque”. A quel punto il presidente della Repubblica dovrebbe essere qualcuno “senza una tessera in tasca” e partirebbe anche un dialogo “per il confronto per un Governo che realizzi tutto quello che tutte le coalizioni hanno inserito nel loro programma elettorale ovvero le misure per l’emergenza economica, per l’occupazione per il sostegno alle famiglie e alle imprese in crisi, e le riforme costituzionali su cui tutti si dicono d’accordo”.
Il primo punto fermo è che non ci dovrebbe essere alcuna “fumata bianca” né a Montecitorio né a palazzo Madama. Il Movimento Cinque Stelle voterà i propri candidati, Raffaele Fico e Luis Alberto Orellana. Dalla quarta votazione in poi, annuncia il capogruppo al Senato Crimi, tutt’al più voterà scheda bianca. Il Pd voterà scheda bianca (proseguendo nella ricerca del dialogo con l’M5S) così come Scelta Civica e verosimilmente anche il Pdl. Insomma: è il primo capitolo di un’impasse largamente prevedibile oltreché prevista nelle scorse settimane. Perché il voto per le presidenze delle Camere sembra legato a doppio filo anche per l’avvio del lavoro di un governo.
I democratici continuano a predicare la “corresponsabilità”, ma al loro interno si scoprono spaccati. Da una parte quelli più vicini a Pierluigi Bersani che vorrebbero portare fino in fondo una piattaforma di intesa con i Cinque Stelle ai quali lasciare, dunque, la presidenza di una delle due Camere per poi preparare meglio il terreno un accordo per governare puntellandosi sulle leggi che possano piacere all’M5S. Dall’altra ci sono i parlamentari che si ritrovano nell’area che fa capo a Dario Franceschini: questi vorrebbero maggiore equilibrio, dove equilibrio significa che se i Cinque Stelle devono “conquistare” la presidenza di una Camera, questo non deve essere gratis, ma nel quadro di un accordo più ampio e soprattutto certo. Suonano sullo stesso spartito i renziani: “Non si gioca con le istituzioni comprese le presidenze di Camera a Senato” ha detto il presidente dell’Anci Graziano Delrio lasciando la riunione dei deputati e senatori renziani. Delrio ha evidenziato la necessità di “presidenti rappresentativi di tutti e autorevoli”. Insomma non certo la posizione della sinistra del partito.
In questo pertugio si inserisce dunque il tentativo della Lega Nord: il Carroccio farebbe valere una sorta di golden share grazie ai suoi 17 seggi che, insieme al centrosinistra e ai montiani, farebbe superare la maggioranza relativa al Senato. Ma la Lega, da par suo, farebbe tutto questo perché è terrorizzata da un possibile ritorno al voto che potrebbe ridurre ulteriormente il risultato già magro ottenuto il 25 febbraio. Quindi sarebbe disposta addirittura a dare un sostegno a un governo democratico. Il pensiero del Carroccio sarebbe: vado dove mi offrono di più.
Da qui emerge una rottura anche all’interno del centrodestra. Perché il Pdl vuole tenere in tutti i modi “le mani” sul Senato. Tanto che sarebbe anche pronto a un’intesa con i montiani per votare Pietro Ichino. L’ipotesi più cara, tuttavia, sarebbe la riproposizione di Renato Schifani (per il momento capogruppo in pectore del Popolo delle Libertà) alla guida dell’assemblea di Palazzo Madama. Il che avrebbe un doppio fondo: in caso di fallimento di qualsiasi ipotesi di centrosinistra, tra le carte in mano al presidente della Repubblica potrebbe esserci un mandato esplorativo. E il primo candidato al mandato esplorativo è il presidente del Senato.
Pdl e Scelta civica ritengono di poter sfruttare le divisioni nel Pd per creare una sorta di “fronte europeista” ed arrivare, su input del Quirinale, ad un governo istituzionale. Il Pdl ha scelto di evitare la strada dell’Aventino e al momento ha dato indicazioni di votare scheda bianca.
Al momento prevalgono i veti incrociati e manovre ostruzionistiche e si vocifera, tra le file del Pdl, che Bersani potrebbe anche cambiare i nomi in ballo per Camera e Senato: non più Franceschini e Finocchiaro, ma personalità che potrebbero essere gradite anche ad altri partiti. In definitiva La linea è la stessa da giorni: o c’è un accordo generale che comprenda anche il prossimo inquilino del Colle oppure non c’è nessun margine di trattativa e si va al voto a giugno.