“Habemus papam“. Embé? Indubbiamente c’è uno scotto da pagare ai diktat del carrozzone mediatico, ma in mezzo al coro estatico innanzi al nuovo papa venuto da Baires c’è spazio anche per una voce che esprime la più assoluta indifferenza per l’avvenimento?
La voce di chi trova fastidiosa tutta questa grancassa per il fatto che il nuovo vescovo di Roma indossa la stola e i paramenti sfarzosi con moderazione; l’entusiasmo perché saluta la folla dalla finestra su San Pietro con un informale “buonasera” (e che doveva dire, alle 19,06: “buondì”? “estate todos marchiones”? il più alla moda “vaffa”?). Un po’ poco, se non si tratta di applausometro a contratto. Certo, ha ragione l’amico Paolo Farinella a dire che Jorge Mario Bergoglio ci ha salvato dall’ascesa al soglio pontificio di Angelo Scola. Ossia, l’uomo venuto dal Rio della Plata ha l’indubbio merito di aver tagliato la strada a quello di Malgrate sotto Lecco: il più in vista della nidiata di Don Giussani, già arruolatore di viscidi anfibi maneggioni a cui apprese le tecnologie a rete delle cricche e delle cordate; con cui gli allievi hanno tessuto la ragnatela che ormai copre la Padania lombarda, in particolare la sua sanità.
Ma il benemerito e santo killeraggio dell’arcivescovo di Milano, tornato all’ombra della Madonnina grazie alla sponsorship di Comunione e Liberazione, è solo un aspetto indiretto (probabilmente inintenzionale, nei suoi effetti sul pollaio politico italiano) di un evento narrato come epocale e planetario. Ma è proprio così? Intanto segnala l’abbandono da parte di Santa Romana Chiesa dei vasti territori del mondo avanzato, dove la cristianizzazione è data come irreversibile, per trincerarsi in aree del mondo in ritardo sulla via della secolarizzazione. Ad esempio il Latinoamerica, dove proprio i gesuiti come Bergoglio hanno fatto in passato una buona quantità di disastri chiamandoli cristianizzazione. Tipo il disarmo materiale e psicologico delle popolazioni indigene, consegnate inermi ai conquistadores iberici o confinate nelle reducciones tra il Paraguay e il Corrientes (falansteri ierocratici con rigida divisione per sessi; comprese le coppie sposate). E hanno continuato a farli. Magari negoziando le reciproche aree di influenza con tiranni e tirannelli delle locali giunte militari.
Ad esempio quella del generale Jorge Rafael Videla, sui rapporti del quale con l’allora vescovo Borghesio iniziano a giungere boatos dall’altra parte del mondo. Quel Borghesio che certamente conferma con le sue prese di posizioni la tradizione omofoba nelle gerarchie ecclesiastiche (del resto a consistente orientamento omosessuale, in quanto a tendenze personali). Un dato a cui prestare un po’ di attenzione, prima di abbandonarsi alle stesse apoteosi che accompagnarono l’avvento di papa Karol Wojtyla, che poi si rivelò pontefice da anno Mille, più interessato alla sua personale lotta contro il regime sovietico e al finanziamento di Solidarnosc (con traffici per cui un banchiere italiano ci lasciò pure le penne sotto un ponte di Londra) che non ad attualizzare un messaggio di amore universale. Sempre se si fa riferimento alle frequentazioni (magari dei Pinochet) più che alle teatralità cerimoniali; tipo il lavaggio delle estremità a malati di Aids e baraccati (che sono tali anche per le connivenze ecclesiastiche: dal supporto a certi regimi plutocratici alla repressione pregiudiziale di certe profilassi, tipo uso del preservativo).
Ma di tutte queste teatralità in quel di Londra, New York o Francoforte non gliene fa un baffo a nessuno. Interessano a noi per riflessi condizionati del carrozzone mediatico e per concretissimi interessi presenti nel nostro Paese; che domicilia un buon 50% del patrimonio immobiliare vaticano. Al di là di commozioni d’ordinanza e varie smancerie precotte, quello che davvero può interessarci è appurare se un papa come questo significherà un certo distacco delle gerarchie ecclesiastiche dalle faccende italiane. Anche se è facile prevedere che la tassa sugli immobili ubicati da questa parte del Tevere continuerà a non essere pagata dall’altra parte del Tevere.