Ieri la telefonata con Benedetto XVI, oggi probabilmente l'incontro a Castel Gandolfo. Jorge Mario Bergoglio guiderà la Chiesa sotto lo sguardo del suo predecessore e con il rischio altissimo di "sconfessarlo in vita". Dal punto di vista teologico, filosofico, spirituale e pastorale la storia lo lega più a Giovanni Paolo II
Sono da poco passate le venti quando squilla il telefono a Castel Gandolfo. È Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, a rispondere. Dall’altro capo della cornetta c’è il neo Papa Francesco, l’ormai ex cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio. Il telefono passa nelle mani del Papa emerito che ha seguito dai Castelli romani in modo discreto e attento il susseguirsi della Sede Vacante dopo la sua rinuncia al pontificato. “Santità, verrò presto a trovarla”. Lo “sfidante” del conclave del 2005, il porporato gesuita su cui aveva puntato il confratello Carlo Maria Martini è il successore di Benedetto XVI. “Santità, le prometto obbedienza e reverenza. La aspetto”. La telefonata si chiude rapidamente. I due vescovi vestiti di bianco, secondo quanto rivela dopo la fumata bianca il cardinale di New York, Timothy Michael Dolan, si abbracceranno già stamane. Quasi uno scambio di consegne tra i due contendenti alla successione di Giovanni Paolo II.
Otto anni fa, infatti, erano stati proprio Bergoglio e Ratzinger “i ceci nella pentola”, ovvero i porporati che ottennero il maggior numero di voti, secondo la metafora del Papa buono, Giovanni XXIII, che a ogni votazione salivano e scendevano. Quelle ore gravi e drammatiche in cui i 115 cardinali elettori, proprio come oggi, sceglievano il successore del grande Papa polacco, che per ventisette anni aveva fatto “sognare” il mondo, furono segnate dalle lacrime. Quelle di Bergoglio che tremava all’idea di indossare la tiara dopo Karol Wojtyla. Nella quarta e risolutiva votazione di quel conclave alcuni voti passarono da Bergoglio a Ratzinger così da consentire la fumata bianca. Papa Francesco, che a differenza di Albino Luciani non vuole che il suo nome sia seguito dal numero primo, cita subito il “Vescovo emerito di Roma” nel suo primo saluto imbarazzato ed emozionato ai fedeli presenti da ore sotto la pioggia in piazza San Pietro. Benedetto XVI aveva preferito il titolo di “Papa emerito”, ma Bergoglio usa anche per sé la definizione di “Vescovo di Roma” e non di Papa o Sommo Pontefice. È un vescovo della Città eterna “preso quasi alla fine del mondo”, che cita il suo cardinale vicario per Roma, più che il capo della Chiesa cattolica ovvero universale. Ha la stessa età che aveva Giovanni XXIII quando fu eletto Papa, ovvero 77 anni. Un vescovo di Roma figlio di sant’Ignazio di Loyola che sceglie di chiamarsi come il poverello di Assisi.
Un Papa religioso dopo undici pontificati e quasi due secoli, chiamato a governare la barca di Pietro sotto lo sguardo del suo predecessore e il rischio altissimo di “sconfessarlo” in vita. Bergoglio è il Papa “battuto” da Ratzinger nel conclave del 2005 che riceve la tiara grazie alla rinuncia al pontificato di Benedetto XVI. Francesco è già il Pontefice dei record: il primo gesuita a sedere sul trono di Pietro, il primo Vescovo di Roma dopo più di mille anni che non proviene dal vecchio continente, il primo latinoamericano a indossare l’abito bianco e il primo cardinale creato da Karol Wojtyla a portare al dito l’anello piscatorio. Nel 2001, infatti, nel suo penultimo concistoro, il Papa polacco impose la berretta rossa sul capo di Bergoglio, da lui scelto per guidare l’arcidiocesi di Buenos Aires. C’è grande affinità teologica, filosofica, spirituale e pastorale tra Giovanni Paolo II e Francesco. Nel cuore di entrambi il sigillo mariano. Entrambi, fino all’elezione al soglio di Pietro, erano lontanissimi dai circuiti di governo e di potere della Curia romana. Entrambi, fino alla fumata bianca, erano vescovi residenziali, ovvero a capo di due importanti diocesi cardinalizie del mondo: Cracovia e Buenos Aires.
Un Papa, Francesco, che si presenta semplicemente vestito di bianco e saluta timidamente la folla con lo stesso tremore nel cuore di Wojtyla: la paura che un vescovo proveniente da così lontano possa non essere accolto dai romani. È troppo presto per dire quale sarà il pontificato di Francesco. La collegialità è, lo si comprende dalle sue prime parole e dai suoi primissimi gesti, al centro della sua agenda. Ma c’è la Curia romana post Vatileaks che aspetta il nuovo Papa. E forse è proprio per questo che Benedetto XVI ha voluto che il suo successore, prima di presentarsi al mondo, si soffermasse nella Cappella Paolina, in Vaticano. È qui che Papa Francesco ha pregato davanti a “La crocifissione di san Pietro” di Michelangelo Buonarroti. È qui che ha potuto ricordare che tutti i Pontefici hanno avuto nei secoli la loro “crocifissione”. Quella di Benedetto XVI ha avuto un doppio nome: lo scandalo dei preti pedofili e la vicenda Vatileaks. Come si chiamerà quella del successore Francesco? Forse è per questo che, stamane, alle otto del mattino, Papa Bergoglio si è fatto pellegrino nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore e ha pregato davanti all’icona di Maria salus populi romani.
Un gesto mariano che richiama quello compiuto da Giovanni Paolo II quando, proprio all’indomani della sua “nomina”, andò a pregare al santuario della Mentorella dedicato alla Madonna delle grazie. Lì era stato prima di entrare nella clausura del secondo conclave del 1978. Lì ritornò subito dopo l’habemus Papam per affidare il suo pontificato a colei che amava definire la “madre del mio maestro” e alla quale consacrò tutta la sua vita. Più tradizionalista, invece, Benedetto XVI che, il giorno dopo la sua elezione, rispettò il protocollo celebrando la mattina, nella Cappella Sistina, la prima Messa da Papa con i cardinali elettori. Francesco ha preferito posticiparla a oggi pomeriggio: l’abbraccio con il predecessore Benedetto XVI non può attendere.