Secondo una ricerca Usa, dalla chiusura del sito pirata sono aumentati gli incassi delle case cinematografiche. Un risultato smentito da Paolo Brini, portavoce del Movimento ScambioEtico, che aggiunge: "La chiusura di siti torrent ha danneggiato i film indipendenti"
La chiusura di Megaupload e Megavideo ha influito in modo considerevole sul mercato delle case cinematografiche? Secondo una ricerca condotta da Brett Danaher del Wellesley College e da Michael D. Smith della Carnegie Mellon University, analizzando 12 paesi nelle 18 settimane successiva alla chiusura forzata dell’impero di Dotcom, per due major cinematografiche (di cui non vengono fatti i nomi), gli introiti sono aumentati in modo considerevole, tra il 6 e il 10 per cento. In modo particolare l’aumento di vendite in formato digitale si è registrato proprio in quelle nazioni dove la penetrazione di Megaupload era più massiccia, come Francia, Spagna, Belgio e Messico.
“Abbiamo iniziato questa ricerca perché abbiamo pensato che la domanda fosse interessante – commenta Danaher -. Che cosa succede quando viene spento il principale sito pirata di tutta la rete? Probabilmente tutti i downloaders trovano un altro luogo da dove scaricare. Ma è anche possibile che i pirati, viste le difficoltà, scelgano di comprare legalmente. Non sapevamo che cosa avremmo trovato, ma sapevamo che la risposta sarebbe stata interessante. Spegnere il principale sito pirata del mondo ha dei costi. È importante sapere quanto sia efficace e possa effettivamente mitigare la perdita degli introiti per colpa della pirateria”. Ma è davvero così? C’è chi sostiene che la ricerca non sia attendibile.
“Non sono presi in considerazione le vendite dei dvd e dei blu-ray, i noleggi e gli incassi delle sale cinematografiche. Inoltre la mancata citazione delle major impedisce una verifica incrociata con altre fonti e rende difficoltosa una peer review – è il commento di Paolo Brini, portavoce del Movimento ScambioEtico -. Sul Wall Street Journal inoltre si legge che i dati sono forniti da istituti finanziati dalle stesse società che hanno esercitato pressioni sull’incriminazione di Kim Dotcom e il sequestro di centinaia di server e che devono, a mio avviso, sempre essere presi con la massima cautela; la volontaria mossa per impedire verifiche incrociate è un aggravante che da sola, nel mondo scientifico, sarebbe sufficiente a bollare una ricerca come inattendibile”. A supportare la sua tesi, Brini propone un altro studio, indipendente dal finanziamento delle major americane, in cui vengono analizzati 1349 film in 49 paesi nell’arco di 5 anni per valutare l’impatto della chiusura di Megaupload sugli incassi delle sale cinematografiche: “Nel complesso gli incassi nelle sale sono diminuiti – dice – . La chiusura di Megaupload ha danneggiato l’industria cinematografica”. I dati, infatti, “mostrano che ci sono stati momentanei benefici economici ad un ristretto gruppo di film americani e abbia danneggiato tutti gli altri nei 49 paesi presi in esame, che sono comunque un campione ben più significativo di quello considerato nello studio di Smith e Danaher. Nel complesso – conclude -, gli incassi dell’industria cinematografica sono calati: l’aumento delle vendite e dei noleggi digitali (+6/8%) di due major dalla chiusura di Megaupload fino alla fine del 2012 dichiarato dallo studio su dati parziali, è una goccia del tutto insignificante nel fatturato globale dell’industria cinematografica mondiale e appare del tutto insufficiente a compensare il calo nelle sale in 49 paesi. Come è sempre avvenuto dalla nascita del copyright, questo va a braccetto con la censura per favorire gli interessi di pochi intermediari, che lottano per restare esclusivi gatekeeper fra creatori e fruitori di contenuti”.
Ma non è solo una questione legata a Megaupload: sembra infatti che l’intero sistema pirateria, basato prepotentemente sull’utilizzo dei torrent, abbia in qualche modo giovato al mercato: “Riteniamo che la chiusura di siti torrent abbia danneggiato gli incassi dei film indipendenti e dei film delle major americane meno promossi tramite i canali tradizionali, a causa della minore penetrazione e diffusione nei circuiti p2p. Una penetrazione e diffusione che, come dimostrato da dozzine di studi indipendenti condotti dal 2003 al 2010, spingono all’acquisto legale una fascia molto significativa di file sharer”. “Non è un caso – conclude Paolo Brini – che gli anni di massima diffusione del p2p e dei cyberlocker abbiano coinciso con gli anni di incassi record di tutti i tempi nelle sale cinematografiche americane ed europee. Quello che l’industria americana del copyright teme è un’ulteriore perdita del controllo sulle modalità e i tempi di fruizione dei contenuti e la diminuzione di capacità di pressione sui distributori”.