Archiviato Sanremo, dove quest’anno ha presentato La prima volta (che sono morto), Simone Cristicchi, seguendo un percorso artistico piuttosto anomalo per un cantautore – dalla canzone popolare è passato alla letteratura fino ad approdare al teatro, scrivendo pièce impegnate e molto delicate, come quella sui matti (C.I.M. – Centro d’Igiene Mentale) – ritorna alla musica con Album di Famiglia, uscito lo scorso 14 febbraio, quarto disco registrato in studio, che l’artista romano definisce “a kilometri zero”. “Nel senso che è stato fatto interamente in casa, in totale armonia con gli elementi – dice Cristicchi a ilfattoquotidiano.it – Non abbiamo inquinato l’ambiente, abbiamo mangiato prodotti tipici e a renderlo ancora più intimo è la copertina, che è opera di mio figlio Tommaso. Aveva fatto quel disegno come regalo per il mio compleanno. Album di famiglia l’avevo già scelto come titolo, quindi ho unito le due cose e credo il risultato sia quello sperato: un disegno infantile, che dà il senso e il colore di quello che è questo album. Delicato, fragile”.
Un disco colmo di vita, che nasce dalla voglia di rimettere al centro l’uomo e le sue disavventure, nel bene e nel male: “Mi piaceva l’idea di un album di famiglia, di istantanee e il fatto che ogni canzone potesse essere la narrazione di una persona”. Influenzato soprattutto dai luoghi visitati negli ultimi anni, le canzoni affrontano argomenti mai banali, anche da difficili angolazioni, a cominciare dal tema della cultura e in particolare del teatro: “Credo che entrambi siano stati massacrati dalle istituzioni, ma senza dare la colpa unicamente alle istituzioni, il mondo della cultura negli ultimi anni è stato fonte di arricchimento, con ruberie varie, per pochi. Inoltre – aggiunge il cantautore – molti teatri oggi stanno morendo anche per colpa di brutti spettacoli. Spesso vecchi, superati, che non comunicano nulla ai giovani che di conseguenza se ne allontanano. Bisognerebbe lavorare moltissimo sulle nuove generazioni, investire su di loro, perché in questo momento, mi permetto di dire, i teatri italiani sono tenuti in vita dagli anziani. Da chi può permettersi un abbonamento perché ha la passione. E una volta che questi non ci saranno più, il teatro rischia di morire, come dico nel brano Il Sipario. Pensando a un possibile futuro del teatro, mi piace l’idea di tornare al baratto. Ho partecipato a un festival di teatro a baratto, con centinaia di persone che al posto del biglietto portavano vino, olio, formaggi e salumi… sarebbe tornare agli albori di questa arte”.
Tornato alla canzone, l’ispirazione l’ha trovata esplorando l’animo dell’uomo, la sua psicologia: “Ho approfondito un po’ di storie, come per esempio quella di Laura Antonelli, una persona che ha commesso un errore nella sua vita e per questo è stata lapidata dai media e dall’opinione pubblica” dice Cristicchi. Oggi lei vive appartata, lontana dal mondo e non ne vuol saper più nulla della vita precedente. Ha ricostruito la sua esistenza priva di qualsiasi cosa, di giornali, televisione, come un eremita. “Laura l’ho scritta dopo aver visitato, casualmente, quella che era la sua villa dove venne arrestata. La sua vicenda mi ha toccato molto – racconta l’artista – Una donna, peraltro scagionata da una sentenza che le ha levato di dosso le accuse, che ha patito mille sofferenze per colpa della morale comune che ci mette un secondo a metterti in croce”. Lei ha apprezzato ma, in linea con la sua filosofia di vita, non ha voluto incontrare il cantante.
Nel disco si affronta anche il tema degli esuli istriani, argomento che ha attirato più d’una critica a Cristicchi: in Magazzino 18 si rammentano le migliaia di persone, soprattutto donne e anziani, morte di nostalgia in seguito all’esodo dall’Istria. “Italiani che si è suicidavano perché non potevano più rivedere la propria patria. Sono cose che mi colpiscono molto, al di là dei crimini commessi durante le guerre o, come nel caso delle foibe, in periodi di pace. E’ un argomento che sto approfondendo da ormai un anno e che finirà per diventare uno spettacolo teatrale a ottobre”.
Il brano Cigarettes, scritto dopo l’esibizione in Canada in favore degli immigrati italiani, invece, è ispirato al testo di una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, dell’ottobre 1912: connazionali che si sono resi protagonisti di brutti fatti di cronaca, la relazione si chiude con un passaggio che potrebbe esser stato scritto dal pugno di un “moderno” leghista: “I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali”.