Il gracchiare del mio vecchio fax, che di fogli ne sputa assai pochi, mi annuncia l’arrivo di ciò che aspettavo da parecchie settimane. Qualcosa sta per uscire dalla fessura impolverata e sporca di toner.

“In data odierna è stato prelevato ed esaminato il giornale da lei indicato ai fini dell’estrazione dell’articolo da lei richiesto”.

È il fax che aspettavo. Mi arriva dalla biblioteca di Agrigento. Dopo il primo foglio, che scivola per terra, lentamente esce la seconda pagina. Intravedo il titolo e le foto sgranate.

L’articolo è del 19 luglio del 1992, pubblicato dal giornale La Sicilia e firmato dal giornalista Franco Castaldo, oggi direttore del periodico Grandangolo.

Ad un primo sguardo mi chiedo cosa diamine mi abbiano spedito da Agrigento: il titolo, infatti, parla di alcune minacce ad un magistrato. Non era quello che cercavo. E invece, leggendo il testo, capisco.

Destinataria delle minacce di stampo mafioso era stata una giovane pubblico ministero faentina, Morena Plazzi. Il giornalista, riferendo delle intimidazioni, per la prima volta rendeva nota una notizia fino ad allora coperta dal più stretto riserbo: la Plazzi stava raccogliendo le dichiarazioni di un parente di Paolo Borsellino, l’imprenditore ucciso circa tre mesi prima, il 21 aprile del 1992. “Un’inchiesta delicatissima che potrebbe portare da un momento all’altro a clamorosi risultati” scriveva il giornalista. E quel parente non poteva che essere mio nonno, Giuseppe Borsellino. Mancavano, infatti, solo le generalità, ma sarebbero state superflue. Da quando le rotative avevano sfornato le copie calde, il ruolo di mio nonno nelle indagini era divenuto di pubblico dominio.

È il 19 luglio del 1992. Immagino il caos e la paura che regnava a casa mia dopo che la collaborazione di mio nonno era stata svelata. Non nel mondo mafioso, certo: grazie anche ad un cancelliere corrotto, i boss sapevano sin dal principio del contributo di mio nonno alle indagini della Plazzi.

È il 19 luglio del 1992. Alle 16.55 Paolo Borsellino salterà in aria in via D’Amelio e con lui Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Morena Plazzi in quelle ore si trova in compagnia dei giornalisti Franco Viviano e Alessandra Ziniti. Ha sentito il giudice Borsellino solo due giorni prima. Avranno parlato di quelle minacce, delle risultanze delle indagini. I tre partono subito verso il fumo e la polvere del cratere palermitano.

È il 19 luglio del 1992. Due Borsellino erano già morti; per il terzo era appena stata resa nota una sentenza capitale, forse emessa molto tempo prima. Da quell’articolo, infatti, mio nonno capì che nessuno avrebbe più potuto salvarlo.

Molte coincidenze, tanti intrecci, storie che si sfiorano e poi fuggono, omonimie che confondono e stordiscono. Tanti tasselli che pian piano riemergono e restituiscono un puzzle di memoria e di memorie che noi, fino all’ultimo dei nostri giorni, tuteleremo dall’oblio e dai veleni.

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