Le lungaggini burocratiche e della giustizia italiana, con continui rinvii delle udienze del processo hanno messo a dura prova i nervi dei due accusati e di tutta la macchina diplomatica italiana, colta di sorpresa dalla decisione del capitano della nave su cui i due marò erano imbarcati di attraccare nel porto di Kochi, entrando nelle acque nazionali indiane.
Il perdurare dello stallo ha portato l’Italia a chiedere e ottenere una licenza “natalizia” ai due dietro l’assicurazione del ritorno entro il mese concesso in territorio indiano: a garanzia dei due militari, oltre alla parola d’onore del capo dello Stato, anche una cifra di circa 800mila dollari (l’Italia aveva già pagato circa 200 mila dollari di risarcimento per ognuna delle vittime, ndr).
A gennaio arriva in India il nuovo ambasciatore Daniele Mancini che incontra anch’egli i due marò; prima di lui, a metà dicembre, era stato in visita il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola (l’ammiraglio campano ex capo di Stato maggiore ed ex capo delle forze militari Nato). Il passaggio del caso dalla responsabilità più diretta della Farnesina a quella del Ministero della Difesa potrebbe aver significato un diverso trattamento della vicenda, forse più muscolare e meno diplomatico, visto anche il buon esito della prima “licenza” concessa dall’India ai due fucilieri di Marina.
Ieri riuniti sul Colle c’erano i due rappresentanti dei ministeri coinvolti, Terzi e Di Paola, ma non De Mistura, il diplomatico che più a lungo ha seguito il caso, che rimane senza soluzione, con due marò in Italia e un ambasciatore bloccato in India.
Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2013