La minaccia di licenziamento disincentiva le assenze dal lavoro per malattia? Sembrerebbe di sì perché nelle province dove più alta è la disoccupazione, i lavoratori si assentano dal lavoro nettamente di meno. Differenze tra Nord e Sud e tra grandi e piccole aziende. Sistema di tutele da rivedere.
di Vincenzo Scoppa* e Daniela Vuri** (lavoce.info)
Assenze e disoccupazione
In Italia i costi per le assenze dovute a malattia dei dipendenti privati sono principalmente a carico delle imprese e del sistema previdenziale, mentre i dipendenti non ne sostengono quasi nessuno.
Poiché il datore di lavoro non conosce con certezza lo stato di salute dei dipendenti che si assentano, e senza altri strumenti contrattuali, potrebbe utilizzare la minaccia di licenziamento per scoraggiarli dal non presentarsi al lavoro senza un fondato motivo. In realtà, la minaccia risulta tanto più efficace quanto maggiore è il livello di disoccupazione nell’area il cui il lavoratore è impiegato, come suggerito da una ben nota teoria economica – la teoria dei salari di efficienza.
La minaccia del licenziamento
In un recente lavoro, usando dati di fonte Inps sui dipendenti del settore privato nel periodo 1985-2002, abbiamo messo in relazione le assenze per malattia di ogni lavoratore con il tasso di disoccupazione a livello provinciale: effettivamente i lavoratori residenti in province con elevata disoccupazione tendono ad assentarsi in misura nettamente inferiore. Per chiarire: in una provincia con un tasso di disoccupazione di 10 punti più alto di un’altra, il tasso di assenteismo – a parità di altre caratteristiche – risulta più basso del 17 per cento.
Ne consegue che i lavoratori delle province meridionali (caratterizzate da più elevati tassi di disoccupazione) fanno meno assenze dei lavoratori delle province centro-settentrionali (con più bassi livelli di disoccupazione). Questa evidenza è abbastanza sorprendente dal momento che numerose analisi empiriche evidenziano come la propensione all’opportunismo sia più diffusa al Sud, mentre al Nord si riscontra un livello di capitale sociale più elevato.
La minaccia è resa ancora più credibile laddove esista un basso grado di protezione dal licenziamento del lavoratore. In Italia la tutela contro il licenziamento è particolarmente elevata, pur con differenze tra imprese con più di 15 dipendenti – ai quali è accordata una forte protezione– e imprese con meno di 15 dipendenti, che godono di minori tutele. Confrontando il comportamento dei lavoratori delle piccole e delle grandi imprese, abbiamo evidenziato non solo che i dipendenti delle piccole si assentano molto meno rispetto a quelli delle grandi aziende, ma che l’effetto del tasso di disoccupazione provinciale è nettamente differente tra piccole e grandi imprese. In particolare, in una provincia con un tasso di disoccupazione maggiore di 10 punti, i dipendenti delle grandi imprese fanno il 12 per cento in meno di assenze, mentre nelle piccole imprese si registra una riduzione del 27 per cento.
Tuttavia, le imprese tendono effettivamente a mettere in atto la minaccia di licenziamento? Secondo la nostra analisi la risposta è senza dubbio positiva: i lavoratori che in un certo arco temporale hanno fatto più assenze hanno anche una maggiore probabilità di perdere il lavoro nei periodi successivi.
Le stesse considerazioni valgono anche per i dipendenti pubblici? La risposta in questo caso è negativa. Usando i dati di fonte Banca d’Italia, troviamo che la relazione tra assenteismo e disoccupazione svanisce: i dipendenti pubblici in province con un più alto tasso di disoccupazione non mostrano una propensione ad assentarsi diversa da quella dei dipendenti che lavorano in province con una più bassa disoccupazione. Il risultato non è sorprendente dal momento che i dipendenti pubblici – essendo virtualmente non licenziabili – non sono affatto influenzati dal rischio di perdere il lavoro e dalle condizioni del mercato del lavoro locale.
I nostri risultati evidenziano come – di fronte a un sistema di assicurazione contro la malattia molto protettivo – il mercato reagisce con meccanismi che in parte annullano l’obiettivo di protezione. Probabilmente un sistema che imponesse qualche costo sui lavoratori che si assentano, redistribuendo i risparmi sotto forma di incrementi salariali per tutti i lavoratori, allenterebbe la minaccia di licenziamento e svincolerebbe la decisione di assentarsi dei lavoratori effettivamente malati dalle condizioni del mercato del lavoro. (1)
(1) Si veda la proposta di Pietro Ichino in A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005.
*Professore Associato presso il Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università della Calabria. Si occupa prevalentemente di Economia del lavoro, Economia dell’istruzione e valutazioni econometriche di politiche. Dal 1999 al 2000 è stato Dirigente Esperto di Analisi Economica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha conseguito un Master in Economics (Università di Torino) e un Dottorato di Ricerca (Università di Siena). Ha insegnato Econometria, Macroeconomia, Economia dei contratti e Microeconomia.
**E’ ricercatrice di Politica Economica presso l’Universita’ di Roma “Tor Vergata”, dove insegna Empirical Labour Economics. Ha ottenuto il Master in Economia presso il Coripe Piemonte e il PhD all’Istituto Universitario Europeo (Firenze). E’ inoltre segretario di ChilD Centre for Household, Income, Labour and Demographic Economics (www.child-centre.it). I suoi principali interessi scientifici riguardano l’Economia del Lavoro e l’Economia della Famiglia.